…ci sono degli incontri che ti segnano nel tuo percorso professionale, ma anche intimo e personale…
Alina Marazzi è una delle registe indipendenti più interessanti del panorama cinematografico italiano. Voglio aggiungere che è anche una delle donne più intriganti che io abbia avuto modo di incrociare sul mio cammino.
Regista di documentari televisivi a carattere sociale; ha lavorato in passato come aiuto regista per il cinema, principalmente con Giuseppe Piccioni. Ha collaborato con lo Studio Azzurro sia su progetti cinematografici che installazioni. Tra le altre attività ha tenuto laboratori audiovisivi all’interno del Carcere di San Vittore a Milano e per due anni ha lavorato all’interno del progetto Fabrica sotto la direzione artistica di Godfrey Reggio.
Si è segnalata all’attenzione della critica e del pubblico internazionale con il suo primo film/documentario del 2002 Un’ora sola ti vorrei : un ritratto della madre morta suicida nel 1972 a 33 anni dopo vari ricoveri per depressione, quando Alina ne aveva sette. La regista lavora sulla ricostruzione dell’esistenza della madre e del suo rapporto con lei attraverso il montaggio di sequenze di filmati Super8 e fotografie che il nonno materno aveva girato, scattato e raccolto in scatole e armadi fin da quando la mamma, Liseli Marazzi Hoepli, era bambina. Un viaggio onirico, a tratti psicanalitico, che trova forma attraverso una commistione di sequenze, linguaggi suoni ed immagini. Una ricerca dell’identità di donna della propria madre, e della propria stessa identità. Di figlia e di donna.
E’ da qui che parte il suo percorso cinematografico di indagine del vissuto femminile, realizzato attraverso uno stile avanguardista che é rimasto nel tempo sempre coerente ed estremamente distintivo del suo lavoro. Caratterizzato dall’intreccio e dalla sovrapposizione di diversi linguaggi e prospettive (animazione, found footage, interviste, documentario, fotografia, fiction) è proprio questo suo peculiare stile cinematografico che l’ha fatta apprezzare moltissimo anche all’estero.
Un’ora sola ti vorrei (2002)
Nel 2005, realizza Per sempre, documentario sulla vita monastica girato in alcuni dei monasteri italiani. Un’indagine sulle motivazioni più profonde e spirituali che possono spingere una donna allo scegliere una vita religiosa e di isolamento.
Vogliamo anche le rose intende “ripercorrere la storia delle donne dalla metà degli anni Sessanta fino alla fine dei Settanta e metterla in risonanza con il nostro presente conflittuale e contraddittorio, nell’intento di suscitare una riflessione su tematiche ancora aperte”. La pellicola racconta il profondo cambiamento avvenuto nel costume in Italia tra gli anni Sessanta e Settanta grazie alla liberazione sessuale e al movimento femminista. Tre donne, attraverso il proprio diario, vivono la propria emancipazione in tre modi e momenti storici diversi: Anita, Teresa e Valentina. Le tre narrazioni tracciano altrettanti momenti storici del femminismo italiano: l’oppressione dalla morale borghese della famiglia, le riflessioni di una femminista tra sentimenti e militanza politica e l’esperienza drammatica dell’aborto vissuto in forma solitaria e clandestina per evitare il disonore. Il titolo è ispirato a un vecchio slogan utilizzato nel 1912 dalle operaie tessili del Massachusetts, “vogliamo il pane, ma anche le rose”.
Vogliamo anche le rose (2007)
Nel 2012, l’esordio nel lungo con Tutto parla di te, in cui racconta una complessa storia di donne alle prese con gli aspetti ambivalenti e contraddittori dell’essere/diventare madre. Emozioni, dinamiche, sentimenti contrastanti che accompagnano la maternità di cui ancora si riesce a parlare troppo poco liberamente. Protagonista principale l’attrice internazionale Charlotte Rampling che interpreta una donna matura, con un trauma che scopriamo alla fine: non ha avuto figli e segue la maternità “difficile” di una giovane madre.
Tutto parla di te (film)
Del 2014 Confini per il progetto 9X10 NOVANTA L’Istituto Luce compie 90 anni. Dieci registi sono a realizzare un piccolo film, ciascuno con 10 minuti di immagini dell’Archivio, scelte tra le migliaia di ore di filmati che esso contiene.
Confini 2014 (cortometraggio con filmati d’archivio della Grande Guerra e versi poetici di Mariangela Gualtieri. Episodio di 9×10 Novanta, prodotto da Istituto Luce
Ultimo suo lavoro il documentario: “Anna Piaggi: Una visionaria della Moda” del 2016.
L’incontro con Alina Marazzi si realizza grazie a Susanna Caldonazzi (Ufficio Stampa Religion Today Filmfestival, il nostro preziosissimo punto di riferimento per tutta la durata del festival) in occasione della serata inaugurale del Religion Today Film Festival 2016 di Trento. – L’intervista è prevista poche ore prima della serata di inaugurazione, in cui Alina sarà protagonista del dibattito “Donne e uomini, maschile e femminile nelle religioni e nel cinema; un confronto a due sul tema dell’anno: C’eravamo tanto amati. Religioni e relazioni di genere” insieme al teologo, giornalista e scrittore Brunetto Salvarani. Mi sono preparata una decina di domande. Mentre fatico ad addormentarmi , la notte che precede l’intervista mi domando quanto Alina sarà disposta a darmi di sé in questo incontro; tenuto conto del viaggio, della stanchezza, della serata impegnativa che la aspetta, della partenza il giorno seguente, dei tempi ristretti…
Ore 17,00. Salgo in auto. Non si accende. La batteria. Corro cercando di mantenere calma e sangue freddo dai miei benzinai di fiducia, rischiando nell’ordine: di essere investita e di rovinare ripetutamente a terra sui miei tacchi 10 (che non sopporto ma di cui non riesco a fare mai a meno in occasioni formali). Sopravvivo a me stessa (oramai sono diventata bravissima in questo) e chiedo aiuto: “Vi prego devo assolutamente essere in città per le 18,00″.
Sono le 17,15. Per fortuna sono super-gentili (o super-impietositi) e raggiungono l’auto tempo-zero sotto casa ridando vita in un attimo alla mia batteria esanime.
Alle 18,00 non so come sono nella hall con Susanna, che mi fa da cicerone e da compagnia. Ci fanno accomodare in un salottino delizioso tutto luci soffuse, tappeti, quadri e divani. Mi sento un pochino più rilassata. Alina ci raggiunge. Una donna minuta, decisa e molto disponibile. Curiosa ed umile. Estremamente affascinante sul piano intellettuale, professionale ed umano. Mi regala tutto il tempo e l’attenzione che ha ha disposizione prima di recarsi a cena. Io, mi sento una privilegiata per tutto il tempo.

DOMANDE
1. Non le sembra che le donne oggi non sappiano più parlare di donne? Soprattutto tra loro. E che siano tornate ad essere schiacciate da una sorta di omologazione dell’immagine femminile e di stereotipi che si pensava fossero ormai superati? Fra la fine degli anni ’60 e ’70 c’è stato uno squarcio “liberatorio” che sembra essersi richiuso progressivamente nei decenni successivi. Lei cosa ne pensa?
Forse sì, nel senso che si è persa quell’apertura nel parlarsi fra donne che si era raggiunta negli anni di affermazione del movimento femminista. Anche grazie alla condivisione di spazi fisici comuni e di ideali condivisi. E’ certamente vero che oggi non c’è sufficiente confronto. Ed è anche vero che ci vogliono un certo entusiasmo ed una certa passione (anch’esse forse andate scemando nel tempo) per portare avanti certe questioni del femminile. Io non mi definisco una femminista. I miei lavori vanno però ad indagare in modo non ideologico e non urlato i rapporti fra donne, le tematiche femminili. Quindi non sono femminista per formazione, ma mi interessa gravitare attorno a temi che in un certo senso possono essere definiti come femministi cercando alla mia maniera un dialogo ed un confronto.
2. Nel film “Vogliamo anche le rose” la voce fuori campo dichiara: “Siamo sconfitti, uomini e donne, dopo il 77” Trova che sia così? Che la battaglia per i diritti delle donne e la loro emancipazione di quegli anni abbia lasciato tutti noi sconfitti e più soli?
Questa frase si riferisce agli avvenimenti terroristici avvenuti in quegli anni. In Italia il terrorismo ha soffocato il movimento delle donne. C’è stato un arresto. La domanda che io mi pongo è: Dove siamo oggi, donne e uomini, dopo questa sconfitta? Purtroppo non ho una risposta, ma tante domande.
3. Ho una figlia di 14 anni, e naturalmente non vuole parlare di sessualità con me. Ma mi chiedo, chi parla alle ragazze oggi di sessualità alle giovani donne oltre ai media? Questa tv volgare e ignorante? Piuttosto che i selfies di Kim Kardashian o chi per lei? Guardo i tuoi film/documentari e mi chiedo: le donne oggi non parlano più così apertamente delle proprie fragilità, non si ribellano, non si arrabbiano. Le ragazze sono al tempo stesso ossessionate e schiave del loro corpo: si fa sesso sempre più precocemente ma non si parla in nessun luogo – istituzionalizzato o no – di relazioni e di affettività… Non le sembra che siano stati fatti dei passi indietro, soprattutto negli ultimi 20 anni, in questo senso?
Premesso che anche io ho una figlia adolescente, e che un rifiuto ad un dialogo sulla propria sfera intima e sessuale “intergenerazionale” madre/figlia è naturale ed anche giusto a mio parere, sì. Apparentemente, sembra siano stati fatti dei passi indietro. O perlomeno che non ci siano stati dei progressi. Ma penso anche, e lo vedo attraverso gli interessi e le attività di mia figlia, che c’è anche dell’altro andandolo a cercare. Vedo delle ragazze su Instagram per esempio che fanno delle cose bellissime. Diverse. Che sono introspettive, amano la lettura, sono creative e che rappresentano dei modelli di riferimento differenti. Forse non sono così diffusi come gli altri, ma ci sono. Non sono così negativa verso la tecnologia e queste applicazioni che i giovani usano e con le quali comunicano. Ed inoltre trovo che sia comunque un passaggio obbligato.
4. Essendo la nostra stessa identità quella di blog, è d’obbligo chiederle come ha vissuto l’esperienza dell’utilizzo del web per il progetto Baby Blues, poi diventato “Tutto parla di voi” (uno dei primi luoghi pubblici, attraverso i blog, in cui si è trattato esplicitamente il tema della depressione post parto) legato all’uscita del film “Tutto parla di te” uscito nel 2012.
La Rete è un contenitore importante, che ha consentito di sviluppare in modo differente gli stimoli offerti inizialmente dal film. La presenza delle mamme in rete è molto forte, ed il blog è di fatto un linguaggio che si rifà all’utilizzo del diario. In una prima fase il progetto era nato proprio come un contenitore per raccogliere tutto il materiale che avevo raccolto precedentemente nella fase di ricerca e che non è finito nel film, perché mi dispiaceva andasse perduto. Poi attraverso le testimonianze di maternità è diventato anche spazio di condivisione. Una sorta di piattaforma di narrazione collettiva interagito dalle utenti. E’ stato interessante scoprire l’opportunità di utilizzare un altro mezzo di comunicazione nelle fasi precedenti e successive all’uscita cinematografica ed alla visione del film.
5. Dove sono finite le esperienze raccolte on-line?
Il materiale non è finito da nessuna parte, nel senso che il progetto per quanto mi riguarda aveva già un senso di per sé stesso, nella sua forma di piattaforma di dialogo e di confronto di esperienze per chi avesse sentito il desiderio o la necessità di aprirsi a questa esperienza in rete, parallelamente all’uscita del film nelle sale . Se poi il progetto iniziale sia stato preso e sviluppato da qualcuno specializzato in questa forma di comunicazione, ne sono felice. Io mi occupo di cinema.
6. Sessualità, maternità, relazioni sono temi a lei molto cari, come inserirebbe il tema religioso, che peraltro ha affrontato in uno dei suoi film, nel contesto della storia femminile italiana?
E’ una domanda che mi sono posta 10 anni fa, a cui ho cercato di rispondere recandomi personalmente nelle comunità monastiche per cercare di capire dove si colloca questo tipo di ricerca spirituale femminile. Non avendola vissuta personalmente, l’ho voluta incrociare facendo la pellicola di “Per sempre”. Cercando delle risposte concrete da chi invece aveva sentito e scelto questo cammino dentro si sé. Il mio scopo non è dare delle risposte ma sdoganare, porre l’attenzione su certe tematiche e creare un momento di riflessione, di discussione.
7. Cosa intende lei personalmente per parità e differenza di genere?
La questione uguaglianza/differenza è una questione fondamentale per me. Ma è interessante soltanto se applicabile a tutte le categorie. La teoria di pensiero della differenza, della diversità andrebbe applicata a tutto ciò che ci circonda. Non solamente alla questione maschio-femmina… uguale-diverso; piccolo-grande; ricco-povero…
8. Trova che sia gli uomini che le donne dovrebbero liberarsi dai ruoli imposti loro dalla società e dagli stereotipi per potersi riavvicinare? Come vede i rapporti fra uomini e donne oggi, rispetto al passato?
Lo stereotipo non è solo falso. All’interno di certe dinamiche nel processo di decodificazione del linguaggio (cioè di interpretazione del messaggio che ci viene comunicato da parte di chi lo riceve, ndr) uomo e donna sono entrambi “colpevoli”, se così si può dire. Ci vorrebbe una grande rivoluzione nel costume. Si dovrebbe fare da entrambe le parti un grande atto di umiltà. Si dovrebbero abdicare i poteri. C’è ancora tanto tanto da lavorare.
9. Il tema della depressione femminile è ancora oggi un tabù. Sembra che lei abbia sviluppato un talento ed una ribellione particolari nel parlare di argomenti del femminile che sono in pochi a voler indagare con uno sguardo che vada in profondità. Qual’è il suo prossimo progetto?
È una scelta precisa, direi quasi obbligata, quella di parlare di donne. Voglio portare sullo schermo il vissuto delle donne. Perché io sono una donna e perché mi interessa parlare di donne. Non c’è un prossimo progetto. Certo, ci sono sempre delle idee. Ma per me il legame fare film/vita privata nasce da dentro. Non so che cosa mi farà scattare nuovamente questa curiosità che mi porta ad indagare attraverso il mezzo che conosco meglio e con il quale mi esprimo, quello del cinema, una determinata questione. -sorride- Me lo chiedo anche io, cosa sarà.
10. Ha mai pensato di girare un documentario per le scuole con uno scopo educativo e divulgativo, rivolto ai più giovani per contribuire ad una più corretta educazione di genere su temi a lei cari per dare una visione differente del modello imperante femminile e di conseguenza anche di quello maschile? Per rappresentare anche coloro che non si ritrovano e non si riconoscono in questi modelli? Ricordo che io da ragazza mi sono dovuta andare a cercare modelli più vicini alla mia identità di donna nella poesia, nella letteratura, nell’arte; Frida Kahlo, Emily Dickinson, Sylvia Plath, Virginia Woolf, Francesca Woodman… E’possibile secondo lei rendere questi modelli più accessibili alle nuove generazioni?
Produco immagini, quindi sento una forte responsabilità nel diffonderle. Non ho ancora pensato a produrle con uno scopo specifico educativo fin qui, ma trovo non ci sia nulla di male nell’auspicare che un domani possano essere utili a qualcuno. Il cinema è uno specchio di noi. Le domande che mi faccio io continuamente sono: Quali modelli, quali immagini usare nei miei film per contrastare tutte queste altre immagini che non mi rappresentano? Sono semplicemente qualcuno che ha questo privilegio, questa possibilità di poter fare dei film.
intervista di Marika Mottes
Reblogged this on maccisun.
"Mi piace""Mi piace"