IL LINGUAGGIO LE PAROLE E LA REALTA’

Francesca De Pretis

Recentemente ho visto un documentario su Netflix, “Disclosure”, che parla della vita di persone trans nel mondo dello spettacolo. Il documentario pone l’accento sulle rappresentazioni di fasce di popolazione discriminate (trans, neri, donne, omosessuali). Narra di come i media rappresentino, costruiscano e raccontino le soggettività non culturalmente dominanti e quali siano le conseguenze di tali narrazioni. 

Questo mi ha dato l’idea per l’articolo o meglio si è connesso a fili di ragionamenti già iniziati da tempo.

Lavorando nel mondo del sociale e della formazione credo molto nella prevenzione e nella cura. Credo nelle relazioni e nelle reti informali di persone. Ciò mi ha portato a pensare molto al linguaggio che usiamo. Ed è questo il soggetto del mio pezzo di questo mese. 

Il linguaggio, le parole e la realtà.

La realtà è plasmata dalle parole. Le parole plasmano la realtà. Modi diversi per dire la stessa cosa. Il modo in cui raccontiamo il reale, lo crea dinanzi a noi. Quello che non sappiamo descrivere e rappresentare non esiste. Il nostro modo di parlare influenza il nostro umore e quello altrui, influenza la percezione di quello che succede, influenza le nostre decisioni. 

Le stesse cose, modulando il tono e selezionando le parole, possono apparire positive o negative, fattibili o infattibili.

Le rappresentazioni sono l’immagine che la nostra mente costruisce dell’esistente, quindi non sono reali. Sono una copia, filtrata dalla nostra soggettività. Influenzata dalle categorie mentali con le quali la nostra mente lavora. Il cervello banalizza e semplifica, mantenendosi ancorato solo a ciò che si può raccontare, che si può immaginare e rappresentare.

Possiamo quindi dire di conoscere veramente cosa è reale e vero? O ne conosciamo solo una versione filtrata? La mente umana riesce a concepire solo ciò che con le parole può esprimere, ciò che è già davanti a noi, ciò che è accettabile e che ha una spiegazione.

Le parole che usiamo contano più di quello che si può pensare. E se le parole plasmano la realtà, come le usiamo crea le possibilità del mondo in cui viviamo e anche le limitazioni. Cosa succede quindi quando non ci sono parole per raccontare qualcosa che esiste?

Vi sono tutt’oggi varie categorie di persone che lottano per vedersi riconosciute attraverso un nome, una definizione, uno spazio nella realtà in cui inserirsi e sopravvivere. Le parole, i nomi, le etichette servono principalmente a distinguerci, a riconoscerci e a non sentirci soli. Sapere che quello che senti, che provi, che desideri è “nominabile” rende la tua intera esistenza vera.

Dall’altra, non posso che ricordare la fragilità dell’essere umano che spesso estremizza nella categorizzazione delle persone cadendo nello stereotipo e nel pregiudizio, privando di libertà sé e l’altro. Ma la critica all’etichetta è un privilegio di chi uno spazio di vita riconosciuto già lo ha. 

A me piace parlare di persone, soprattutto quando sono a scuola con i ragazzi, perché così do la possibilità a tutti di riconoscersi nei miei racconti. Ma rivendicare la possibilità di identificarsi in una  categoria fa parte di un percorso di costruzione della propria identità. In una società escludente come la nostra, tale rivendicazione va rispettata poiché simbolo e atto di libertà personale.

Se pensate all’italiano, quante parole conoscete che esistono solo al maschile? Sono di più di quelle prettamente al femminile? Questo succede perché la nostra lingua è stata plasmata su un modello socio culturale che per molto tempo ha escluso le donne dalla dimensione collettiva e comunitaria. Ciò implica che la nostra lingua abbia un impianto maschile. Quanti nomi di professioni sono solo maschili? Ciò non può che influenzare il pensiero di generazioni di donne sul loro possibile futuro. 

Riconoscersi e immedesimarsi da bambini è fondamentale per costruire dentro di noi un’immagine di come siamo e di come potremmo essere. Questo anche attraverso le parole e la loro definizione.

Tutto ciò non vale solo nel binomio maschio/femmina, ma può essere applicato in molti altri casi. Ovvero in tutte le categorie che fuoriescono dalla narrazione dominante della nostra società. I neri, i disabili, le donne, gli omosessuali, i/le trans, i poveri e così via.

Anche una rappresentazione erronea porta a conseguenze negative. Infatti se guardiamo a come storicamente sono state rappresentate le donne, l’immagine che emerge è molto distante dalla realtà dei fatti e fornisce un quadro povero e scarno di possibilità, dandone una rappresentazione semplicistica. Di donne ne esistono di tutti i tipi e con molte sfumature. La stessa parola donna non ha un significato pregnante, così come la parola uomo. Provate a dare una definizione univoca e chiara di donna e di uomo. Se riuscite scrivetemi. 

Eppure le rappresentazioni che ci vengono offerte sono lineari e chiare di come chi si riconosce in quella categoria dovrebbe essere.

Ma pensiamo a chi rimane esclusa/o. Chi da bambina/o non ha avuto nessun eroe o eroina nel/nella quale riconoscersi e al/alla quale ispirarsi. Chi già in giovane età sentiva di non appartenere alla massa cis ed eteronormata, ha dovuto costruire dentro di sé un’idea di amore romantico e fisico che quasi nessuno altrimenti ha mai raccontato, tutto ciò con un senso di solitudine ed inadeguatezza. 

La mancanza di narrazioni includenti ha come conseguenza la ghettizzazione, il bullismo, l’isolamento e l’esclusione da una vita a pieno potenziale. Per esempio se non mi sono mai riconosciuto/a in qualcuno/a con carisma e potere, difficilmente mi indirizzerò verso un percorso di crescita che mi permetta di arrivare ad occupare posizioni di potere. Se non mi riconosco in nessun esempio che i media mostrano, diventerà faticoso sapere cosa desidero dalla mia vita e quali sono le mie possibilità. Gli ostacoli che dovrò affrontare saranno più complessi poiché non vi sono modelli ai quali mi posso ispirare e con i quali mi posso connettere. Se la narrazione in cui mi identifico è sempre di tipo negativo, ad esempio come raccontano in “Disclosure” quella delle persone trans, diventerà per me più probabile cadere in percorsi del genere.

Raccontare diversi tipi di mondi, di sensibilità, di soggettività, di esperienze, di desideri e di corpi crea per tutti una realtà vivibile e accettabile nella quale esprimere il proprio sé. Il diverso diviene conseguentemente meno percepibile poiché tutti hanno molteplici modelli di realtà davanti con i quali confrontarsi e/o identificarsi.

Una categorizzazione escludente e molto netta, come quella del mondo occidentale, non fa che perpetuare le differenze e le discriminazioni in cui viviamo.

Per creare una realtà più equa bisogna iniziare a narrare di più e meglio. Bisogna cominciare a raccontare tutti i tipi di storie, belle e brutte, con una morale o senza, con supereroi e con persone normali, con donne e con uomini, dove si vince e si perde, con coraggio e gioia. 

Se riuscissimo a raccontare la vita per l’esperienza sorprendente e unica che è per tutt@, magari riusciremmo anche un giorno a spostare l’ago da chi è il/la protagonista della storia a cosa vuole fare? Cosa fa per migliorare il suo mondo? Come aiuta la sua comunità? Al di là che sia lesbica, cinese, in sedia a rotelle o precario.

Quando tutt@ sapremo chi siamo e verremo riconosciuti senza limitazioni, finalmente potremo forse fare i conti con il nostro ego e ritrovarci come comunità. Ma le differenze e le categorie nelle quali ancora ci rinchiudiamo non fanno che isolarci e annichilirci. È importante che si creino nuovi linguaggi e nuove parole, così come nuove rappresentazioni del vero e del reale, per fare spazio a tutt@.

Per concludere, vi chiederete tutto ciò cosa c’entri con la rubrica Sex-Ed. La narrazione sulla sessualità è una delle più nocive e tossiche che la nostra cultura perpetra. Basti pensare alle rappresentazioni pornografiche di corpi e desideri e soggettività. Le parole della sessualità sono state castrate e censurate per molto tempo e tutt’oggi oltre ai tabù, quindi alle parole e alle realtà negate, connettiamo ad essa molti vissuti di vergogna e negatività. Come parliamo di relazioni e di sesso crea il nostro immaginario a riguardo e ci permette di esplorarlo. Vediamo come ancora oggi la narrazione sul sesso sia limitata e distorta e come questo influenzi le nostre esperienze di vita “reale”, lasciandoci spesso insoddisfatti. 

Impariamo a parlare e a raccontare i corpi e l’erotismo con i colori delle nostre emozioni e dei nostri sentimenti, staccandoci dall’idea di giusto e sbagliato così che si possa tutt@ scoprire nuovi “luoghi” e dimensioni di verità e libertà, con noi stessi e in relazione.

#ParloComeSonoSonoComeParlo

Sitografia:

https://it.wikipedia.org/wiki/Test_di_Bechdel

https://it.wikipedia.org/wiki/Cisessualit%C3%A0

https://www.imdb.com/title/tt8637504/

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