SEX-ED

Mi chiamo Francesca, lavoro nel mondo della formazione ed educazione all’affettività e sessualità. Lavoro inoltre nel sociale e questo mi da l’opportunità di conoscere i molti volti dell’umanità. Sono un’appassionata femminista e uno dei miei hobby è mettere la gente in imbarazzo parlando di sesso come si parla del meteo.  Credo nell’unicità delle persone e che ogni giorno, ogni momento ci sia qualcosa da imparare di sorprendente. Sono sicura che questa avventura mi farà scoprire nuove persone, storie ed esperienze. Cercherò di condividere con voi le mie riflessioni sulla sessualità e l’affettività, sperando anche di farvi ridere.

29 luglio 2020

IL LINGUAGGIO LE PAROLE E LA REALTA’

Francesca De Pretis

Recentemente ho visto un documentario su Netflix, “Disclosure”, che parla della vita di persone trans nel mondo dello spettacolo. Il documentario pone l’accento sulle rappresentazioni di fasce di popolazione discriminate (trans, neri, donne, omosessuali). Narra di come i media rappresentino, costruiscano e raccontino le soggettività non culturalmente dominanti e quali siano le conseguenze di tali narrazioni. 

Questo mi ha dato l’idea per l’articolo o meglio si è connesso a fili di ragionamenti già iniziati da tempo.

Lavorando nel mondo del sociale e della formazione credo molto nella prevenzione e nella cura. Credo nelle relazioni e nelle reti informali di persone. Ciò mi ha portato a pensare molto al linguaggio che usiamo. Ed è questo il soggetto del mio pezzo di questo mese. 

Il linguaggio, le parole e la realtà.

La realtà è plasmata dalle parole. Le parole plasmano la realtà. Modi diversi per dire la stessa cosa. Il modo in cui raccontiamo il reale, lo crea dinanzi a noi. Quello che non sappiamo descrivere e rappresentare non esiste. Il nostro modo di parlare influenza il nostro umore e quello altrui, influenza la percezione di quello che succede, influenza le nostre decisioni. 

Le stesse cose, modulando il tono e selezionando le parole, possono apparire positive o negative, fattibili o infattibili.

Le rappresentazioni sono l’immagine che la nostra mente costruisce dell’esistente, quindi non sono reali. Sono una copia, filtrata dalla nostra soggettività. Influenzata dalle categorie mentali con le quali la nostra mente lavora. Il cervello banalizza e semplifica, mantenendosi ancorato solo a ciò che si può raccontare, che si può immaginare e rappresentare.

Possiamo quindi dire di conoscere veramente cosa è reale e vero? O ne conosciamo solo una versione filtrata? La mente umana riesce a concepire solo ciò che con le parole può esprimere, ciò che è già davanti a noi, ciò che è accettabile e che ha una spiegazione.

Le parole che usiamo contano più di quello che si può pensare. E se le parole plasmano la realtà, come le usiamo crea le possibilità del mondo in cui viviamo e anche le limitazioni. Cosa succede quindi quando non ci sono parole per raccontare qualcosa che esiste?

Vi sono tutt’oggi varie categorie di persone che lottano per vedersi riconosciute attraverso un nome, una definizione, uno spazio nella realtà in cui inserirsi e sopravvivere. Le parole, i nomi, le etichette servono principalmente a distinguerci, a riconoscerci e a non sentirci soli. Sapere che quello che senti, che provi, che desideri è “nominabile” rende la tua intera esistenza vera.

Dall’altra, non posso che ricordare la fragilità dell’essere umano che spesso estremizza nella categorizzazione delle persone cadendo nello stereotipo e nel pregiudizio, privando di libertà sé e l’altro. Ma la critica all’etichetta è un privilegio di chi uno spazio di vita riconosciuto già lo ha. 

A me piace parlare di persone, soprattutto quando sono a scuola con i ragazzi, perché così do la possibilità a tutti di riconoscersi nei miei racconti. Ma rivendicare la possibilità di identificarsi in una  categoria fa parte di un percorso di costruzione della propria identità. In una società escludente come la nostra, tale rivendicazione va rispettata poiché simbolo e atto di libertà personale.

Se pensate all’italiano, quante parole conoscete che esistono solo al maschile? Sono di più di quelle prettamente al femminile? Questo succede perché la nostra lingua è stata plasmata su un modello socio culturale che per molto tempo ha escluso le donne dalla dimensione collettiva e comunitaria. Ciò implica che la nostra lingua abbia un impianto maschile. Quanti nomi di professioni sono solo maschili? Ciò non può che influenzare il pensiero di generazioni di donne sul loro possibile futuro. 

Riconoscersi e immedesimarsi da bambini è fondamentale per costruire dentro di noi un’immagine di come siamo e di come potremmo essere. Questo anche attraverso le parole e la loro definizione.

Tutto ciò non vale solo nel binomio maschio/femmina, ma può essere applicato in molti altri casi. Ovvero in tutte le categorie che fuoriescono dalla narrazione dominante della nostra società. I neri, i disabili, le donne, gli omosessuali, i/le trans, i poveri e così via.

Anche una rappresentazione erronea porta a conseguenze negative. Infatti se guardiamo a come storicamente sono state rappresentate le donne, l’immagine che emerge è molto distante dalla realtà dei fatti e fornisce un quadro povero e scarno di possibilità, dandone una rappresentazione semplicistica. Di donne ne esistono di tutti i tipi e con molte sfumature. La stessa parola donna non ha un significato pregnante, così come la parola uomo. Provate a dare una definizione univoca e chiara di donna e di uomo. Se riuscite scrivetemi. 

Eppure le rappresentazioni che ci vengono offerte sono lineari e chiare di come chi si riconosce in quella categoria dovrebbe essere.

Ma pensiamo a chi rimane esclusa/o. Chi da bambina/o non ha avuto nessun eroe o eroina nel/nella quale riconoscersi e al/alla quale ispirarsi. Chi già in giovane età sentiva di non appartenere alla massa cis ed eteronormata, ha dovuto costruire dentro di sé un’idea di amore romantico e fisico che quasi nessuno altrimenti ha mai raccontato, tutto ciò con un senso di solitudine ed inadeguatezza. 

La mancanza di narrazioni includenti ha come conseguenza la ghettizzazione, il bullismo, l’isolamento e l’esclusione da una vita a pieno potenziale. Per esempio se non mi sono mai riconosciuto/a in qualcuno/a con carisma e potere, difficilmente mi indirizzerò verso un percorso di crescita che mi permetta di arrivare ad occupare posizioni di potere. Se non mi riconosco in nessun esempio che i media mostrano, diventerà faticoso sapere cosa desidero dalla mia vita e quali sono le mie possibilità. Gli ostacoli che dovrò affrontare saranno più complessi poiché non vi sono modelli ai quali mi posso ispirare e con i quali mi posso connettere. Se la narrazione in cui mi identifico è sempre di tipo negativo, ad esempio come raccontano in “Disclosure” quella delle persone trans, diventerà per me più probabile cadere in percorsi del genere.

Raccontare diversi tipi di mondi, di sensibilità, di soggettività, di esperienze, di desideri e di corpi crea per tutti una realtà vivibile e accettabile nella quale esprimere il proprio sé. Il diverso diviene conseguentemente meno percepibile poiché tutti hanno molteplici modelli di realtà davanti con i quali confrontarsi e/o identificarsi.

Una categorizzazione escludente e molto netta, come quella del mondo occidentale, non fa che perpetuare le differenze e le discriminazioni in cui viviamo.

Per creare una realtà più equa bisogna iniziare a narrare di più e meglio. Bisogna cominciare a raccontare tutti i tipi di storie, belle e brutte, con una morale o senza, con supereroi e con persone normali, con donne e con uomini, dove si vince e si perde, con coraggio e gioia. 

Se riuscissimo a raccontare la vita per l’esperienza sorprendente e unica che è per tutt@, magari riusciremmo anche un giorno a spostare l’ago da chi è il/la protagonista della storia a cosa vuole fare? Cosa fa per migliorare il suo mondo? Come aiuta la sua comunità? Al di là che sia lesbica, cinese, in sedia a rotelle o precario.

Quando tutt@ sapremo chi siamo e verremo riconosciuti senza limitazioni, finalmente potremo forse fare i conti con il nostro ego e ritrovarci come comunità. Ma le differenze e le categorie nelle quali ancora ci rinchiudiamo non fanno che isolarci e annichilirci. È importante che si creino nuovi linguaggi e nuove parole, così come nuove rappresentazioni del vero e del reale, per fare spazio a tutt@.

Per concludere, vi chiederete tutto ciò cosa c’entri con la rubrica Sex-Ed. La narrazione sulla sessualità è una delle più nocive e tossiche che la nostra cultura perpetra. Basti pensare alle rappresentazioni pornografiche di corpi e desideri e soggettività. Le parole della sessualità sono state castrate e censurate per molto tempo e tutt’oggi oltre ai tabù, quindi alle parole e alle realtà negate, connettiamo ad essa molti vissuti di vergogna e negatività. Come parliamo di relazioni e di sesso crea il nostro immaginario a riguardo e ci permette di esplorarlo. Vediamo come ancora oggi la narrazione sul sesso sia limitata e distorta e come questo influenzi le nostre esperienze di vita “reale”, lasciandoci spesso insoddisfatti. 

Impariamo a parlare e a raccontare i corpi e l’erotismo con i colori delle nostre emozioni e dei nostri sentimenti, staccandoci dall’idea di giusto e sbagliato così che si possa tutt@ scoprire nuovi “luoghi” e dimensioni di verità e libertà, con noi stessi e in relazione.

#ParloComeSonoSonoComeParlo

Sitografia:

https://it.wikipedia.org/wiki/Test_di_Bechdel

https://it.wikipedia.org/wiki/Cisessualit%C3%A0

https://www.imdb.com/title/tt8637504/

9 giugno 2020

NON SONO VERGINE

Parlare di verginità nel 2020 può sembrare banale, soprattutto per chi ritiene di non esserlo più. Tuttavia parlare di questo argomento ci può far capire molto di quanto realmente ne sappiamo di sesso e del nostro corpo, oltre che orientarci a comprendere come la cultura dominante utilizza questo concetto. Specialmente per quel che riguarda la sfera femminile.

La verginità porta con sé un bagaglio storico e culturale non indifferente. É un argomento dibattuto in quasi tutte le religioni; il mito della vergine lo troviamo nei più antichi manoscritti, è trasversale non solo ai culti ma anche alla cultura, all’arte, alla politica, alla scienza e la sua attualità non è mai stata messa in discussione. Ad essa sono collegati concetti di purezza, integrità ed innocenza che esprimono della valutazioni valoriali sulle donne. Ciò è stato utilizzato per reprimere, controllare, giudicare e umiliare le donne nel corso della storia, per perpetuare miti e pregiudizi sulla loro sessualità e per mantenere salde le strutture del patriarcato. Essa identifica, comunemente, chi non ha ancora avuto rapporti sessuali. Penetrativi. Eterosessuali. Infatti descrive innanzitutto una ragazza, una vagina. Questo esclude completamente le sessualità che non comprendono pene/vagina e tutte le affettività non eteronormate. Quindi “gli altri” sono non vergini in modo innato? Nascono già “deflorati”? 

L’imene è il grande protagonista di questa “perdita”, anche se la maggioranza delle persone non sa né dov’è sta né tantomeno cos’è. 

“E’ qualcosa che si rompe nelle ragazze quando lo fai la prima volta, che poi perde sangue” (cit. ragazzini/e di 3° media, la maggioranza) e questo è più o meno tutto quello che si dice di questa parte del corpo femminile.

“L’imene è una membrana che circonda o ricopre in parte l’apertura esterna della vagina e che “separa” il vestibolo della vagina (lo spazio compreso tra le piccole labbra) dalla vagina stessa. Non sembra avere una funzione fisiologica specifica, non si trova in profondità e si presenta come una specie di piega, rivestita all’interno da un epitelio simile a quello vaginale e all’esterno da una sottile epidermide.

L’imene, come ogni altra parte del corpo, cambia nel tempo e può avere consistenze e forme diverse da donna a donna: può anche non esserci, può essere più o meno elastico e più o meno spesso, può essere rosa o biancastro, può presentare uno o più fori o non presentarne affatto. Quando l’imene ricopre l’intera apertura vaginale può essere un problema, risolvibile comunque con un piccolo intervento che permetta al sangue mestruale di defluire“. 

Quello che molti di voi probabilmente non sanno è che l’imene, essendo una membrana sottile ed elastica si potrebbe lacerare, attenzione non rompere, anche con dell’esercizio fisico, con l’inserimento di tamponi e con la masturbazione. E per quanto riguarda la perdita di sangue, non è scontata ed è più probabile che avvenga per una scarsa lubrificazione.
Il concetto di verginità va quindi inteso come un costrutto sociale. Non è né
qualcosa di provabile né di tangibile. Pensiamo all’idea di verginità maschile ad esempio, come si può provare che un ragazzo abbia o meno avuto dei rapporti sessuali? Non si può.

Questo costrutto ha influenzato l’dea di sessualità in modo decisivo. Cosa era giusto moralmente fare, quando e per chi. Pensiamo banalmente in quanti film ne abbiamo sentito parlare. L’idea che ci viene proposta è che sia o qualcosa di cui vergognarsi e di cui bisogna liberarsi quanto prima
(solitamente per i ragazzi) o un “dono” che va concesso solo al vero amor
perché altrimenti vieni considerata una facile (per le ragazze).

La cultura dominante impone a noi ragazze di porre attenzione, tutelare e prenderci cura della nostra verginità, come se fosse un qualcosa da conservare e proteggere, associandole un valore morale legato al mantenimento della purezza. Alla perdita della verginità è infatti associata la perdita della purezza, culturalmente intesa come passaggio all’età adulta.

Ma rimane una cultura giudicante nei confronti delle donne, che devono rispondere a degli standard di valore ai quali gli uomini non sono sottoposti. Per il lato maschile anzi la verginità culturalmente è un’offesa alla virilità, un uomo adulto con poche o nessuna esperienza sessuale è visto come meno desiderabile, strano e meno maturo, non degno di stima. Le donne senza esperienza invece sono docili, caste, serie, pure e affidabili.

Quest’idea ha ingabbiato le donne in una dinamica sessuale dove il loro
corpo era a servizio unicamente dell’uomo e dovevano rispondere con
obbedienza provando di essere assertive e servizievoli anche fisicamente. Le donne “forti” che si autodeterminano hanno sempre spaventato molto, sia gli uomini sia l’ordine costituito. La regolarizzazione della sessualità permette di mantenere il potere e perpetrarlo, facendo rimanere in cima il maschio che decide quando è moralmente giusto che le donne donino la loro purezza, e a chi.

La verginità è uno dei molti modi in cui il patriarcato guida le nostre vite
moralizzandoci. Tutto ciò non può che creare una forte pressione a chi si sta avvicinando alle prime esperienze. La prima volta è caricata di altissime aspettative, soprattutto oggi.

Quando vado nelle scuole a fare i corsi di educazione affettiva e sessuale, i
ragazzi/e riportano sempre lo stesso copione quando si parla di questi
argomenti. Mi fa molto pensare come mai dei ragazzini/e che sanno cose
molto confuse sul sesso, abbiano già introiettato dentro di loro il concetto del dolore legato a queste esperienze.

Ciò che li accomuna maggiormente è il sentimento di agitazione e paura
connessa alla prima volta, alla perdita della verginità, alla rottura dell’imene e appunto al dolore che potrebbero provare. Parlare di questo argomento è importante per aprire quelle gabbie pre-confezionate di affettività e sessualità sterile che vorrebbero propinarci come “normali” e “uniche”, come se ci fosse un modo giusto di amare sé stessi e gli altri.

Rassicurare i ragazzi raccontando una sessualità che può essere creata dal nostro sentire e dai nostri desideri nel rispetto dell’altro permetterà loro di autodeterminarsi e essere più soddisfatti nella vita. La sessualità va raccontata per quella che è: bella, emozionante, divertente, calda, vitale se fatta ascoltandosi, conoscendosi e rispettandosi e non sotto la pressione delle aspettative esterne. Formarli e dialogare con loro permette di fornire gli strumenti, le conoscenze e le competenze così che loro possano compiere scelte maggiormente libere, più vere, più sane, meno rischiose e meno piene di luoghi comuni e pregiudizi.

Parlare di cos’è veramente la verginità ci permette di comprendere che non dobbiamo dimostrare niente a nessuno, in questo, così come in tutti gli altri aspetti della nostra vita. A nessuno. Decidiamo noi cosa siamo e il nostro valore. Il costrutto sociale della “vergine” ha avuto il suo momento nella storia, ora è tempo di sradicare i suoi effetti dannosi dalla nostra società e permettere a tutti di sentirsi a proprio agio nel proprio corpo, che abbiano fatto sesso o meno.

#siperdonolechiavinonlaverginità

Bibliografia:
https://www.ilpost.it/2018/11/09/false-credenze-imene/
https://www.hercampus.com/school/western/why-virginity-social-construct
https://www.plannedparenthood.org/learn/teens/sex/virginity
https://sexinfo.soc.ucsb.edu/article/hymen
https://sexinfo.soc.ucsb.edu/article/cultural-significance-tact-hymen
https://it.wikipedia.org/wiki/Imene_(anatomia)

15 aprile 2020

RELAZIONI AI TEMPI DEL COVID-19

In questo periodo di quarantena è arduo vedere il bicchiere mezzo pieno. É difficile vedere al di là del giorno che stiamo vivendo. Non sappiamo come sarà il nostro “risveglio”, la primavera ritardata. Per la prima volta nella nostra vita stiamo sperimentando una perdita di controllo.  Il controllo delle nostre vite, del nostro futuro, dei nostri pensieri e della nostra lucidità. Tutto questo contribuisce a creare in noi uno stato confusivo. A dire il vero, una più attenta riflessione ci suggerisce che non siamo mai pienamente in controllo, ma crederlo ci rassicura e ci permette di prendere decisioni. 

C’è chi si sta già abituando al nuovo setting e in questi tempi lenti e allungati ha ritrovato il suo ritmo e non vorrebbe più tornare indietro.

C’è chi invece conta i giorni che passano, le ore, i minuti. Sogna ad occhi aperti tutte le cose che farà non appena daranno il “liberi tutti”.

C’è chi si è iperattivato per combattere l’apatia e chi invece si è fermato e faticosamente affronta le giornate.  

C’è chi, come me, si domanda dove ci porterà tutta questa obbedienza. Viviamo una limitazione della libertà individuale in nome del bene comune. Non fraintendetemi, il bene comune per me è importantissimo ma anche i mezzi per arrivarci lo sono, e passato il momento “eccezionale” mi chiedo come questo influenzerà le dinamiche politiche e relazionali su una più larga scala.

Questa situazione ci sta mettendo a dura prova, tutt@ nessuno escluso. Per la prima volta possiamo forse lontanamente immaginare cosa significa essere in “prigione”, pur continuando a vivere in uno stato di privilegio anche in questa situazione, non dimentichiamolo. Questa “pausa” dalla nostra routinaria realtà ci fa da specchio. E’ l’occasione per imparare più di noi stessi. 

Quando l’essere umano è messo in situazioni fuori dal comune scopre risorse inesplorate, capacità inespresse, così come succede al nostro cervello in una situazione di allerta, di paura; molto velocemente vaglia tutte le possibilità di fuga, esprime una forza mai vista, velocizza i pensieri. 

Dall’oggi al domani ci siamo ritrovati a doverci reinventare, a doverci ricreare una quotidianità. E in questo anche a riscoprirci e a riconoscerci. Soprattutto ci troviamo costretti a relazionarci con chi vive con noi, come mai prima. Si dice che conosciamo noi stessi attraverso l’altro, e che senza l’altro noi non siamo. Le relazioni plasmano la nostra identità. 

Il Covid-19 ci sta dimostrando definitivamente che siamo animali sociali. Il bisogno dell’altro è palese. Diventa evidente anche quanto si abbia bisogno di una vasta gamma di tipi di relazioni per bilanciare le altre e per dare risposta alle nostre esigenze. Siamo cosi bisognosi di relazione che ci mancano persone che non sentiamo da moltissimo tempo e persone a cui non avremmo mai pensato. Anche chi di solito non necessita di una socialità costante si ritrova in aperitivi online, videochiamate e telefonate lunghe ore.Abbiamo bisogno di confronto e conforto.

Le emozioni che proviamo in questo periodo vengono esasperate dalla difficoltà della situazione e se in una condizione di “normalità” ricerchiamo risposte in più direzioni, ora siamo costretti a rivolgerci solo a chi sta vicino sperando che ci possa fornire un aiuto a 360°. Questo rende ancora più complessa la nostra quotidianità poiché anche chi vive con noi è alla ricerca di risposte interne ed esterne. Nelle relazioni che stiamo vivendo sperimentiamo la gamma di emozioni che normalmente esperienziamo con più persone. Questo non può che avere un’effetto esplosivo, che vedrà le ricadute nel post Covid-19, sia positive che negative. Nuovi setting, nuovi spazi e nuovi tempi. La vicinanza costretta porta a galla tutti quei pensieri e dinamiche che tendenzialmente evitiamo per quieto vivere, quelle sensazioni che spesso ci neghiamo. Ma diciamocelo, questo setting di chiusura ci porta forse anche ad essere più sinceri, a non frenarci ma anzi ad esplorare il nostro sentire e le nostre difficoltà. Stare a stretto contatto ci permettere di conoscere l’altro come mai prima, ma senza  i “filtri” normali fatichiamo a contenere ciò che non ci piace. Le frizioni possono aumentare e esasperare delle situazioni che già erano fragili. Insomma il troppo stroppia.

Quindi prendiamoci i nostri spazi e i nostri tempi per stare da sol@ e/o per cercare altre relazioni al di fuori delle mura di casa. Cerchiamo di ascoltarci e assecondarci puntando al benessere psico-fisico. Mettiamo dei paletti ben precisi con l’altro e dedichiamoci dei momenti di confronto sincero, condividendo paure e ansie. Certamente questa situazione è più facile se condivisa con qualcuno che vissuta da soli, ma questo non significa che ci deve andare bene tutto. Insomma stare in relazione è necessario ma ricordiamoci che siamo in una fase eccezionale e che tutto è esasperato.

Questo periodo “eccezionale” è un banco di prova. Possiamo usarlo per testare cosa funziona per noi e cosa invece è accessorio. Riscoprire la persona che ci sta a fianco imparando ad apprezzare anche i piccoli gesti che prima davamo per scontato, condividere ciò che solitamente portiamo all’esterno o che teniamo strettamente ancorato al nostro io interiore. 

Insomma l’esperienza del lockdown è sicuramente pesante da attraversare, ma se la sapremo sfruttare, ne usciremo diversi e probabilmente arricchiti. Più consapevoli di noi stessi, dei nostri bisogni e desideri. Le cose che diamo per scontate diventeranno quei particolari a cui ci aggrapperemo per ricominciare. 

Le relazioni sono forme complesse e fragili delle dinamiche umane, ma questo periodo ci sta facendo diventare degli esperti. Certo chi più chi meno. L’importante è farne tesoro e non dimenticarcene quando tutto sarà finito. Noi abbiamo bisogno dell’altro, il diverso da noi è come noi. Condivide ansie e paure e bisogni. 

La mia speranza è uscirne più forti come comunità, riscoprendo la solidarietà tra persone, partendo dai nostri vicinissimi e capendo che tutti abbiamo bisogno dell’altro e che l’altro non è nostro nemico. 

#unabbracciodaunaottimista #staysafe

9 febbraio 2020

MASTURBAZIONE

Da quando mi è stato proposto di scrivere questo articolo, ho letto in media 3 o 4 articoli sulla masturbazione ogni giorno. Ho visto video, alcuni piuttosto noiosi altri che mi hanno fatto molto ridere e ho interrogato i miei amici e amiche a tradimento.

La maggior parte delle informazioni che ho trovato hanno alcuni elementi in comune: ma lo sai che non diventi cieco? O sterile? O uno yeti? 

Anzi ti fa proprio bene, quindi fallo! 5 consigli per masturbarsi meglio. Lo fanno di più le donne o gli uomini? E se non lo fai, stai tranquillo lo stesso, perchè è tutto molto normale.

All’ennesimo consiglio sono andata in crisi, mi sono chiesta cosa mai avrei potuto scrivere di interessante e nuovo su un argomento rispetto al quale ognuno si sente “esperto” a casa sua? 

Poi ho pensato a cosa avrei potuto apportare io come contributo. E quello che posso offrirvi è una riflessione pseudo politica sulla masturbazione, con un’attenzione alla nostra società e al nostro benessere.

Avete presente i corn flakes? Sono stati inventati dal dottor John Harvey Kellogg (1852-1943) nel 1894. Era un fondamentalista degli Avventisti del Settimo Giorno che, oltre ad essere vegetariani convinti erano anche contro alle pratiche sessuali. Mi fa ridere solo pensarla questa cosa. Infatti Kellogg ha avuto sì 42 figli, ma tutti adottivi.

Bene, quando John inventa i cereali, ha in mente una cosa, creare un cibo che promuova l’astinenza sessuale. Cioè i cereali avrebbero dovuto soddisfare tutti i tuoi bisogni e quindi eliminare anche quel “brutto vizietto” di trastullarsi tra sè e sè. 

Quindi la prossima volta che sei al supermercato e non sai cosa prenderti per colazione, fatti un bell’esame di coscienza e chiediti quanto tu abbia bisogno di sopprimere i tuoi istinti perversi. Se la risposta è molto, allora spero ti ricorderai di John e il suo cibo anti-masturbazione.

Questo mi porta più vicina alla mia riflessione. Partiamo dal presupposto, perché è meglio non dare nulla per scontato, che la masturbazione non è dannosa né per la tua salute fisica né per la psiche ma anzi gli studi ci dicono che fa bene a 360°. Con questa divertente attività vi è un aumento di endorfina e dopamina, una diminuzione dello stress percepito e del dolore mestruale; inoltre concilia il sonno, aumenta la libido e migliora la prestazione sessuale. 

Proviamo a pensare alla masturbazione come ad una palestra per i rapporti sessuali: come nell’attività sportiva, se ci alleniamo con discontinuità e scarso impegno, nel momento della competizione vera e propria la nostra prestazione non sarà soddisfacente. Se invece ci alleniamo con costanza, ponendoci sempre nuovi obiettivi e mantenendo un pensiero positivo, la nostra performance sarà migliore. 

L’autoerotismo si può fare in coppia o nella solitudine assoluta, in compagnia degli amici, a tarda sera prima di dormire o la mattina dopo il caffè. C’è chi adotta un metodo naturalista, mani e fantasia propria, chi invece si diletta con sex toys e pornografia. Come in tutti gli articoli che ho letto, non posso non inserire qui anche una rassicurazione per i neofiti o per chi non pratica l’autoerotismo per scelta. Ognuno, come per ogni aspetto della sessualità, fa ciò che sente e desidera, quindi anche non farlo va benissimo, o meglio, non c’è nulla di sbagliato in voi.

A questo punto dell’articolo è chiaro che concepire la masturbazione come una pratica contro natura non ha molto senso. Basti pensare che le donne posseggono un organo dedicato unicamente al piacere, la clitoride. Se lo abbiamo un motivo ci sarà!

Passiamo a parlare di ansia da prestazione. Viviamo in una società che ci vuole sempre al top in tutti gli ambiti della vita, dobbiamo dimostrare di essere forti, freschi, coraggiosi, temerari e migliori degli altri, ma anche dolci e disponibili. Questo evidentemente tocca anche l’ambito dell’affettività e della sessualità. Come non pensare ad esempio agli uomini con ansia da prestazione e un’insicurezza crescente? Una lettura possibile di ciò, ci viene fornita dai cambiamenti dovuti all’incremento dell’emancipazione femminile, che porta ad un ridimensionamento del ruolo maschile all’interno della coppia e della società. 

Nemmeno le donne sono immuni dall’ansia da prestazione: oltre ad essere alle prese con le aspettative della società, ci sono anche quelle di una cultura femminile in rapido cambiamento. I modelli proposti sono apparentemente in contraddizione tra di loro: da un lato l’immagine della madre di famiglia, dall’altro quello della donna oggetto. L’ansia nasce dalla non identificazione in questi modelli e dalla ricerca di una propria dimensione femminile. Tutto ciò non può che portarci verso una sessualità vissuta con insicurezza e timore del giudizio altrui.

La sessualità oggi è narrata come liberata e normalizzata ma se ci fermiamo un attimo non siamo poi così lontani dal signor Kellogg. Oggi non crediamo più che le pratiche sessuali, almeno non quelle eteronormate, come ad esempio l’autoerotismo, ci danneggino, ma ne portiamo ancora la vergogna.

Infatti la maggioranza delle persone si masturba, ma quanti ne parlano? Parlare di un argomento, anche se personale e intimo, è l’unico modo per renderlo parte della nostra vita. Confrontarsi e discutere con chi ci è vicino è essenziale, diminuisce l’imbarazzo e ci fa sentire meno soli.

La masturbazione potrebbe essere non solo oggetto di dibattito ma anche soluzione ai nostri problemi in una società isolazionista e prestazionale. D’altronde stare bene con se stessi, dovremmo saperlo, è l’unico modo per stare bene con gli altri. Creare una relazione con se stessi, con il proprio corpo e le proprie sensazioni, senza vergogna o giudizio, potrebbe liberarci dalla paura del giudizio altrui e aumentare la nostra autostima e percezione di successo. Probabilmente la consiglierei come consiglierei la meditazione. Dopo entrambi i momenti ci si rialza più sereni e con una carica positiva verso se stessi e gli altri. 

#masturbationisthenewblack

SITOGRAFIA:

https://www.medicalnewstoday.com/articles/320265.php#health-benefits-of-masturbation

https://www.researchgate.net/publication/49810277_The_Role_of_Masturbation_in_Healthy_Sexual_Development_Perceptions_of_Young_Adults

https://www.sciencealert.com/is-masturbation-good-for-you-science-answer

https://www.sciencealert.com/is-masturbation-good-for-you-science-answer

https://www.pazienti.it/contenuti/condizioni/masturbazione