STORIA DI MAJA BREVE ROMANZO DI APPENDICE

Capitolo 1

Maja non aveva mai dubitato nemmeno per un istante del suo essere unica.

E questa, sarebbe stata la sua condanna.

I suoi ricordi di infanzia, iniziavano già a partire dai 2 anni. E lei ricordava benissimo: SAPEVA di essere unica sin dalla sua nascita. E di qui, inevitabilmente speciale. Qualcosa, qualcuno di così speciale che probabilmente non era nemmeno di questo mondo.

Maja era più che benestante, cresciuta nella bambagia, come si suol dire. Una upper class girl avrebbero invece detto nella vecchia Inghilterra. I genitori di provenienza francese, naturalmente l’ostentatamente elegante costa sud della Francia. Ca va sans dire. Una grande casa dei primi del ‘900 a tre piani, praticamente tutta per lei. I giocattoli prima, gli abiti le auto ed il denaro poi. Smisuratamente in eccesso. Le amicizie giuste. Anna, figlia dell’avvocato Costa. Giulia, figlia del sindaco Giannini. E Nina, figlia del chirurgo plastico Lanetti. Bulimia, depressione e autolesionismo. Nell’ordine.

Ma naturalmente Maja no. Niente di tutto questo. Perchè lei era unica.

Trascorreva ore delle sue pigre giornate pensando al superbo mondo di cui lei era la protagonista assoluta. Da sempre. Per sempre. Il pianoforte, le cavalcate nei campi della tenuta sul terreno gentile. Le estati in barca, gli inverni allo chalet di montagna sulle alpi svizzere. Esclusivamente unica.

Maja. Tutto ti obbedisce. Persino la bellezza: il verde dei tuoi occhi. Il castano caldo dei tuoi lunghi capelli che vanno a coprire i seni. Giorno e notte si ripeteva a voce e per iscritto: “Ascoltatemi. Guardatemi. Mi amerete ancora. Mai ne avrete abbastanza.”

Ma un giorno Maja prima divenne come ghiaccio, e poi si spezzò. E non vi fu rimedio. Nessun kintsugi per Maja.

Fu una chiamata improvvisa dall’estero. L’ambasciata italiana di Parigi. Il padre. Il grande imprenditore. Arrestato insieme alla madre per falso in bilancio e frode fiscale. Tutto il patrimonio confiscato. I conti, congelati.

La grande casa , la barca e lo chalet in montagna ti fanno ciao, Maja.

E Maja inaspettatamente non è più unica, ma sola. Abbandonata prima, dimenticata poi.

Tutti gli amici le voltarono le spalle. Molti di questi – si capì benissimo ed immediatamente – non vedevano semplicemente l’ora di guardarla andare giù. A fondo. Banalmente, volevano morbosamente guardarla sprofondare.

Nessuno alzò un dito mignolo per tentare di aiutarla e quelli che lo fecero, le appoggiarono uno stivale bene in fronte per spingerla nel fango più a fondo. Più in basso.

Naturalmente, erano tutti così dispiaciuti per lei.

Non avrebbe mai creduto di poter dire un giorno di sé che avrebbe preferito essere stata una ragazza qualsiasi, pensò, mentre l’acqua della vasca nella stanza della piccola ed anonima pensione in cui alloggiava ormai da oltre un mese lentamente si tingeva di rosa.

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Capitolo 2

Aveva sempre fatto freddo, dentro di lei. Come diavolo avrebbe potuto saperlo se era ancora viva oppure invece se era morta? Maja sperava si trattasse della seconda ipotesi. Del resto essersi tagliata le vene dei polsi in vasca da bagno, poteva già essere considerata di per sé una risposta sufficientemente eloquente. Ma la fortuna sembrava avesse deciso di voltarle le spalle definitivamente, perché Maja era viva. In un letto di ospedale, ma viva.

Lasciare quella stanza fredda e asettica, era ciò che avrebbe voluto fare adesso. Sarebbe stato normale chiedersi come avesse fatto a sopravvivere ma a questo punto, scampata la morte, la domanda le sembrava completamente inutile.

Non faceva che pensare a lui. Lui che la sera prima aveva capito come sarebbe andata a finire ed avrebbe voluto rimanere, mentre lei gli aveva risposto: domani. Era stato questo uno di quei casi in cui domani si era rivelato troppo tardi. Pensò Maja.

…O forse no! Adesso era il momento: prese un pezzo di carta ed una penna dal comodino.

“Credo tu ieri mi abbia chiesto perché avessi acceso un’altra sigaretta per un motivo. Ed io come sempre non riesco a nasconderti la risposta a lungo. Anche se con il mio gesto avrei voluto nascondertela per sempre.
Sento le mie paure e le mie incertezze. Vorrei davvero spazzarle via e lasciarmi respirare un po’. Certamente è questo che mi agita… Se come penso era questa la domanda dietro alla tua domanda. Ma stavolta ti prego, giochiamo che tu starai zitto, ed io non sparirò. Dovremmo smettere di pensarci a vicenda e ritrovarci fuori dalle nostre menti, se davvero è arrivato il tempo del fare. Il film che mi hai portata a vedere l’ho odiato e il lupo della steppa del libro che ti ho regalato, eri tu. Aldilà di me e del mio ottuso romanticismo, di cui sai puoi fare ciò che meglio credi, prendiamolo e basta il nostro tempo. Nessuno si prenderà cura di te se non lo fai tu. Nessuno verrà a risarcirti di tutto quello che hai sacrificato  – e non ci sarà nessuna medaglia al valore – l’ho imparato anch’io. Questa è l’ultima proposta che sono disposta a fare. A tutti e due. Dimmi solo se la cosa ti sembra ragionevole. So tutto quello che non dici. Sento tutta l’altra parte di te da sempre. E capisco i tuoi conflitti, la difficoltà di convivere con te stesso. Nemmeno io so vivere con me stessa, come vedi. Scriverti questa lettera mi costa moltissimo, avevi ragione tu quando hai detto che ci sarei arrivata tardi – ma ti giuro – sono disposta a fare il possibile per provare a rimediare. Oggi”

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Capitolo 3

Perché non vieni qui, allora? Perché mi hai portata in questo ospedale? Perché non mi hai lasciata andare dove stavo andando? Io volevo andare. Andarmene da tutto, soprattutto da me stessa. E anche da te. No. Non è vero. Non da te. Tu saresti stato l’unico motivo per restare...

Questi erano i pensieri che attraversavano la testa di Maja ormai da intere giornate. Avrebbe voluto trovare la forza per alzarsi, ma non se ne parlava.

La flebo era tutto il dannato giorno attaccata al suo braccio: come un ponte fra l’essere e il non essere, perché di mangiare da sola non le riusciva ancora. Questo le impediva di essere libera di muoversi e di spostarsi, ma allo stesso tempo la teneva in qualche modo attaccata alla vita: con l’ago invasivo infilato per bene dentro al braccio, con il gocciolare regolare della boccia che altrettanto regolarmente veniva sostituita con una nuova. Come una clessidra sopra la testa che misurava il suo tempo in un luogo dove ancora non aveva deciso se volesse rimanere o meno.

Maja era anche consapevole del fatto che ora non aveva la lucidità necessaria per prendere la decisione più giusta per se stessa. E di nuovo, la stessa domanda: andare o rimanere?

Che razza di posto era questo mondo che le era diventato così estraneo, giorno dopo giorno, mese dopo mese, anno dopo anno. Tutto aveva perso di intensità, di colore, di sapore. Quello che le era rimasto tra le dita era un mondo consumato e sbiadito che non riconosceva più come suo, e che comunque non le piaceva. Non sapeva nemmeno più se fosse stato il suo destino oppure lei a svuotare progressivamente ogni cosa del suo significato originario.

Ma forse era lei, forse era stata sua la colpa, come le era stato insegnato a catechesi, a suon di punizioni e umiliazioni. Lei che nonostante la consapevolezza della sua unicità non era mai stata giudicata dalle suore sufficientemente in grado: di stare buona, di impegnarsi, di concentrarsi, di stare composta, di non provocare, di non disturbare, di non distrarsi, di trattenersi dal fare domande e affermazioni troppo scomode. Non era stata valutata sufficientemente normale.

Al diavolo.

Al diavolo l’essere normali. Che cosa era mai normalità? Conformarsi? Obbedire? Sottomettersi? Rinunciare ad avere un pensiero critico ed una propria personalità? Auto censurarsi per il quieto vivere di tutti quelli a cui il porsi delle domande fa troppa paura dall’interno delle loro piccole e ordinate gabbiette sociali in cui stare comodi, certi e (troppo) sicuri di sé-

Questi pensieri non la aiutavano, anzi la confondevano sempre di più. Si sentiva sprofondare, sola dentro a quel letto bianco. Inghiottire da tutte le domande senza risposta che la tormentavano sin da bambina.

Domande che aveva avuto sempre paura di formulare a voce alta ad anima viva. Tranne una volta che le aveva poste al prete, in confessione. Avrà avuto sì e no 11 anni. E aveva anche ottenuto risposta: uno sguardo obliquo e gelido di disapprovazione attraverso la grata bucherellata nella penombra del confessionale più 50 Padre Nostro e 50 Ave Marie come penitenza. Per aver pensato.

Eppure Maja sapeva sin da allora di che cosa avrebbe avuto bisogno: di una guida. Se avesse avuto una guida, non si sarebbe persa. Non così. Non così lontano. Non glielo avrebbe permesso, e di sicuro sarebbe andata a prenderla prima che fosse stato troppo tardi la sua guida. Perché anche il pensiero che ormai fosse troppo tardi per lei, per tornare alla vita, la tormentava in quel letto sterile.

E adesso, dove sei finito? Tu che sei venuto a prendermi. Sappi che non basta. Se è la mia guida che sei, vieni qui e rispondi alle mie domande. Adesso. Non voglio impazzire più. Ho fatto cose terribili. Ma voglio perdonarmi. Voglio sentirmi parte di questo mondo di nuovo. Mostrami come. Liberami.

Mentre la sua testa disperatamente formulava questi pensieri, la porta della stanza lentamente si apriva. Kai ed il suo sguardo la raggiunsero in un istante che durò molto a lungo. Però fu lei a stare zitta, e lui quello a non andarsene.

Ho ricevuto la tua lettera Maja. Mi è dispiaciuto che tu non abbia saputo mai rispettare le sinergie.  Del resto mi sono sempre chiesto se quello che ho potuto vedere in noi fosse mai esistito veramente. Quel qualche cosa che mi ostino a voler arrivare finalmente a toccare; volendolo al punto tale dall’ essermi sentito ridicolo così tante volte ormai. Così tante volte che una in più non farà certo la differenza, mi sono detto.

E così eccomi qui, con quello che ho da dirti. Puo’ darsi che sia qui anche per la mia incapacità di ammettere che sono io il cretino in tutta questa storia. Oppure che tu sia molto meno di ciò che mi dico e che tu dici. Non ha importanza, perché il motivo per cui ti ho voluta rivedere oggi è il voler chiudere un cerchio dove l’unica linea rimasta da tracciare per poterlo fare era affrontare la realtà della storia con te. Qualunque essa sia. Chiunque tu sia.

Ingenuamente non ho calcolato che la cosa potesse anche riaprire un altro cerchio per me. Me ne sono reso conto nel guardarti. Sono disposto  a correre il rischio e sai perché? Perché sarebbe comunque per me una partita già persa in partenza, dove come sempre il gioco lo conosci e lo conduci solamente tu. E dove giochi sola. Io non ho più’ niente da perdere arrivato a questo punto sai, ed è proprio questo che finalmente non mi pone più in una posizione di inferiorità in questo rapporto senza logica. E la sai un’ altra cosa, Maja? Non mi interessa nemmeno più chiederti perché ti comporti come fai. Non mi interessa più capirti.

Quando ho preso certe decisioni su di te in passato, quando si è trattato di restarti comunque vicino – anche quando eri respingente, anche quando mi allontanavi, anche quando alzavi i tuoi maledetti muri, anche quando andavi con tutti gli altri con la scusa patetica della tua libertà  – che si e’ rivelata invece la tua stessa prigione – sappi che si e’ sempre trattato soltanto di considerarmi altrettanto libero di vivere la vita che io volevo vivere, seppure decidendo di restare attaccato ad una stronza.

Ebbene, come vedi la vita comunque ci porta alla fine esattamente dove dobbiamo essere. Il punto qui cara non è nemmeno più se tu provi qualcosa di importante per me oppure no. Non lo è affatto. E per me non cambierebbe grandi cose oggi, dal momento che non lo ha mai fatto in passato, non credi? Sono io ad essere cambiato. Questo è il punto.

Mi sono posto talmente tante domande su di te a cui non ho mai avuto risposta. E mai ce l’avrò ora lo so. Perché con te ogni domanda diventa retorica. Le tue piccole aperture nei miei confronti che sono semplicemente tuoi virtuosismi fine a se stessi, lasciano il tempo che trovano considerando ora che le cose che dici alla fine non tornano mai fino in fondo.

Sono stanco di tormentarmi la mente con questi monologhi, che anche ora sono qui a sottoporti per egocentrismo forse, con la pretesa di smuoverti qualcosa dentro e avere così una stramaledetta risposta da te che invece riesca a smuovere me.

Quello che a me passa per la mente e mi attraversa lo conosci bene, e forse questo è stato il grande vantaggio che ti ho sempre lasciato. Comunque è arrivato il momento di dirti che si è trattato di un privilegio che non ho concesso a chiunque e non di una mia ingenuità. E questa concessione perché abbia un senso richiede reciprocità. Ed è qui Maja che arriviamo alle sinergie.

Forse sono stato io a non essere stato abbastanza chiaro in passato con te:  quello che a me manca non è mai stato il desiderio di condividere un appartamento insieme alla banalità ed ai problemi del quotidiano. Eri tu, quello che mi mancava. Ti trovavo così bella, così complessa, così diversa ed unica da renderti inconoscibile: questo mi piaceva. Sarebbe bastato che tu mi aprissi un piccolo varco per entrarti dentro, ti avrei portato l’amore che sei sempre andata mendicando per il mondo. E ti sarebbe bastato, credimi. Non sarebbe nemmeno stato necessario mettermi al centro – al centro c’eri tu ed anche questo mi piaceva.

Volevo un posto discreto ma esclusivo dentro di te, dentro a quella che già eri. Non volevo snaturarti, non avevo bisogni da soddisfare: volevo amarti e sentire il tuo calore e il tuo profumo da vicino. Per scelta tua.

Ma sai cosa ho capito Maja? Ho capito che se tu fossi veramente unica come dici lo avrei già avuto quello che cercavo da te, o meglio in te. Ma tu ti basti, con la tua convinzione di essere migliore e di non essere capita per questo. So anche che tutto questo mio spettacolo è in un certo modo una lusinga per il tuo ego e non sarebbe male sai se per una volta sapessi fare lo stesso per il mio. Ma cara non hai ancora compreso che più hai lasciato che il tempo trascorresse fra noi per tergiversare dietro alle tue scuse ed alle tue paure, più ne hai lasciato a me per arrivare alla conclusione che siamo solo due cretini a fasi alterne, io e te.Ti ho portata in ospedale perché l’avrei fatto con chiunque altro avessi trovato nelle tue stesse condizioni dell’ultima volta. Ma  ora dimmelo tu Maja: dov’è che ti trovi esattamente tu adesso?

Capitolo 4

‘ Ti ho portata in ospedale perché l’avrei fatto con chiunque altro avessi trovato nelle tue stesse condizioni dell’ultima volta. Ma ora dimmelo tu Maja: dov’è che ti trovi esattamente tu adesso? ‘

Maja era rimasta senza parole, lì per lì. Dopo tanto tempo trascorso lento e vuoto, nella convinzione di non rivederlo mai più, improvvisamente la stanza era piena di Kai e delle sue parole. Non era una risposta semplice quella da dare alla sua domanda, ma la paura di perderlo nuovamente e definitivamente, gliela fece trovare in fretta.

‘ Certe mattine mi sveglio prima che faccia giorno e penso. Penso che vorrei essere per te la quiete. Ma poi mi prende questa ansia di vita che non riesco ad arginare. Forse la quiete ha senso solamente dopo una tempesta, penso allora. O forse è così che è per me solamente. I tuoi cieli grigi, sono il mio azzurro più intenso. Come faremo mai a comprenderci? Ma io non posso fare a meno di amarti come avrei amato un bambino, il mio enfant terrible, un po’ perverso e astuto. Sola. Ecco dove mi trovo esattamente adesso. Ma quando entro dentro a me stessa, è proprio lì che ti ritrovo. ‘

Non riuscì ad aggiungere altro. Tranne le lacrime. Forse perché per una volta, non c’era davvero altro da aggiungere.

Incredibilmente, dopo tutti quegli anni di incomprensioni e di discussioni e di casini, culminati nel tentativo di togliersi la vita di Maja che nulla aveva a che vedere con la loro storia, non fu difficile neanche per Kai trovare le parole. Era come se improvvisamente capire le ragioni l’una dell’altro non avesse più importanza. Come se tutto quell’arrotolarsi di parole pensieri e situazioni non avesse più nessun significato. Le spiegazioni, non erano più necessarie – davanti alla Morte.  O meglio davanti alla Vita, una volta che uno ne capiva il senso, dell’essere vivi.

 ‘ Vuoi dire che continueremo ad esserci in qualità di quel che diamine ci pare? Che continueremo a poter essere i cretini che siamo indisturbati? Quanto non mi siamo piaciuti questa volta Maja. Ma comunque liberi. Così liberi, spero, da potercene fregare. Ho voglia di dirtelo quanto meschina riesci ad essere in certe cose a volte. E quante storie ci siamo raccontati sulla donna che sei e quante sull’uomo che sono? Ho sempre avuto nei tuoi confronti tutte le attenzioni che non hai tutte le volte che hai provato a sminuirmi.  Ma penso anche che prendersela con te adesso sarebbe utile come regalare una bicicletta ad un pesce. Avrei voluto che tutto fosse più facile. Vorrei comunque che lo fosse. Semplice. Con te che da sempre fai gli elogi della semplicità mentre ripeti che è complicato. Ma mi chiedo, quando lo potrà mai essere se ogni volta ci mettiamo di mezzo tutta questa roba? Le distanze ci sono già e ce ne sono sempre state in un modo o nell’altro. E là dove non c’erano ce le hai messe tu per via delle tue logiche inafferrabili che raramente ti fanno ascoltare senza preconcetti. Ma non abbiamo già commesso i nostri sbagli, pagato per le nostre ingenuità e fatto male i conti nelle nostre vite? La vita l’abbiamo già conosciuta per quella che è, no? Se anche si partisse dalla situazione ideale non siamo davvero così ingenui da pensare che non arriverebbero le complicazioni e tutto il resto, poi. E allora: c’è da stare così attenti? Metteremmo in gioco più di quanto non abbiamo fatto sinora in situazioni differenti con  persone diverse? Qual è la vera questione da affrontare qui e adesso? Forse sarebbe stato più facile se avessi accettato il mio aiuto economico quando la tua vita è andata in pezzi. Così saremmo diventati una questione morale l’uno per l’altra, come per tante altre coppie. A me sembra che tu ti sia rinchiusa nella tua testa. E mi stai rendendo difficile stare qui fuori. Ma mettendo da parte una volta per tutto il nostro ragionare, le nostre dietrologie ed il passato, rimane una cosa sola da fare. E lo sai anche tu. E probabilmente è la cosa che più ci spaventa. Bisogna vivere. Bisogna viversi. Avere il coraggio di farlo e basta.’

‘Va bene Kai’ rispose Maja.

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