Better man

Masha Mottes

Cercherò di fare una delle cose più difficili al mondo: sostenere una tesi nell’intento di essere rispettosa, di non essere aggressiva, cercando di risultare anche un po’ ironica, con il desiderio sincero di aprire il lettore ad una riflessione.

Chi sono gli uomini di oggi? Dove li possiamo trovare, o meglio ritrovare?

Me lo chiedo spesso quando leggo i miei mille libri, in particolare in questo periodo in cui sono alle prese con i diari di Anaïs Nin per via del progetto che mi vede coinvolta insieme ad altre sette donne de I Coralli, un progetto nato a Trento da un’idea dell’attrice e regista teatrale Maura Pettoruso basato su un confronto fra donne nell’intraprendere in contemporanea la scrittura di un diario e nella sua condivisione nel gruppo nell’intenzione di scoprire, ispirandosi al libro di Cesare Pavese “Il mestiere di Vivere”, se esista un mestiere di vivere al femminile. Per aprire il nostro sguardo oltre noi stesse, in questo esperimento di scrittura, ognuna ha scelto una donna che le fungesse da fonte di ispirazione e al contempo da musa nell’esplorazione di sé.

Da questo esperimento è nato poi un un gioco di carte: IL GIOCO DEI CORALLI per permettere ai partecipanti – maschi e femmine – di aprirsi e parlare di sé in maniera libera attraverso le risposte alle domande delle carte.

Ognuna di noi ha scelto di confrontarsi con la biografia di una donna che, ai suoi occhi, si è distinta nel suo ‘mestiere di vivere’, donne di diversa estrazione ed epoca che hanno lottato per la loro identità. Abbiamo incontrato figure che risuonavano nelle nostre vite e le abbiamo usate come esempi: le chiamiamo esploratrici.

Abbiamo scelto donne contraddittorie, inusuali, accumunate tutte dall’aver raccontato il mondo attraverso i loro occhi e la loro sensibilità personale. Io ho scelto Anaïs Nin

Anaïs nasce a Neully in Francia il 21 febbraio 1903 dove trascorre parte dell’infanzia, all’età di 11 anni si trasferisce a New York con la madre ed i fratelli. Nel 1931 torna a Parigi con il marito Hugh Parker Guiler. Conosciuta come autrice di raffinata narrativa erotica (suo la raccolta di racconti erotici al femminile “Il delta di Venere”) si distingue all’inizio della sua carriera nel 1931 con Uno studio non accademico, un saggio su D. H. Lawrence, autore del controverso e a lungo censurato romanzo L’amante di Lady Chatterley.

Per tutta la vita scrive un suo diario, reso pubblico nel 1966 dove annota il racconto di una guerra, la costruzione dei suoi romanzi, il suo matrimonio, le sue relazioni, le amicizie, la professione di psicoanalista esercitata per un periodo a New York. Incontri straordinari con artisti che vanno da Henry Miller (anche suo amante) a Salvador Dalì, André Breton, Antonin Artaud, Otto Rank, John Cage. Le esperienze, le sensazioni, le riflessioni esistenziali di una vita intera. Il Diario, diventa cpsì “il” libro di Anaïs, una memoria letteraria che parte all’età di 11 anni e termina una settimana prima della sua morte, il 14 gennaio 1977, a 73 anni. 

“Ho un ritmo naturale nel diario … quello che produco fuori di esso è una distillazione, è il mito, il poema.”

Vi ho trovato i racconti di una donna certamente non convenzionale, che, nonostante un matrimonio durato per tutta la vita, ha avuto molti amanti, vivendo ciascuno di loro come persone molto speciali, uniche, con le loro peculiarità e i loro limiti.

Mi immergo in queste pagine passate alla storia come vero e proprio materiale letterario, un dono, quello che fa Anaïs, dove esplora sé stessa e gli altri con una scrittura di estremo valore stilistico, ma anche con estrema onestà, mettendo a disposizione dei lettori a volte anche l’indicibile. Ed è inevitabile per me, mentre leggo, richiedermi ciò che già mi capitava periodicamente di domandarmi in passato, ovvero: dove si nascondono gli uomini di oggi? Dov’è finita la complessità del linguaggio personale, affettivo, sessuale che forse meglio li definiva in passato?

Non faccio riferimento solo ad una tradizionale storia di coppia, questo dev’essere chiaro: il discorso si estende a tutta la sfera dei rapporti più personali.

Penso a situazioni che vivo e che ho vissuto, ma anche a tante altre che mi vengono raccontate, di approcci che si possono definire come abbozzi di storie troncate al primo ostacolo di un interesse che, quando viene manifestato, svanisce alpiù al quarto appuntamento. D’altronde si sa, ormai soffriamo tutti di deficit di attenzione…

Si moltiplicano così oggi gli episodi al  maschile di ghosting, tecniche di evitamento, imbarazzo, superficialità, parole mozzate a metà o più banalmente pensieri che non vengono nemmeno espressi a parole nel mondo reale dentro ad una relazione. 

Ma non voglio nemmeno essere ipocrita: anche noi donne siamo cambiate! La collaudata teoria sulla donna che accudisce l’uomo ha fortunatamente perso di incisività, senso e diffusione. Un po’ perché le donne nella società moderna hanno maggiore possibilità di emanciparsi, ma anche perché alcuni uomini hanno altrettanto fortunatamente contribuito a scardinare questo meccanismo tanto comodo, ché forse in fondo non si addice più nemmeno a loro.

Eppure se apparentemente tutt@ potremmo guadagnare da questo nuovo equilibrio che renderebbe i ruoli meno fissi e rigidi, pare che ci siamo persi nel labirinto della diseducazione affettiva, dell’infantilismo, dell’egoismo e dell’egocentrismo, in una sorta di “manifesto del disimpegno”. Comunque con la convinzione implicita che le tutte le emozioni, profonde o no, siano cosa troppo complicata da gestire. 

Invece io, magari sbagliando, credo che le cose possano essere vissute anche in situazioni non per forza rigidamente definite o stereotipate. Che una parte di vita e di coinvolgimento siano imprescindibili, altrimenti c’è il rischio reale di scadere nell’idea che siamo tutti interscambiabili oppure che il rimanere su un piano superficiale ci consenta di perdonare a noi stessi qualsiasi cosa, come l’essere estremamente sgarbati e sfuggenti.

Mi domando come mai da parte dell’uomo constato sempre più spesso questo apparente distacco dalle emozioni e dal desiderio – proprio ed altrui, comportamenti monotoni, indifferenza ed un linguaggio spesso assente o comunque privo di un reale valore comunicativo ma con sporadiche intense e per questo incomprensibili reazioni emotive ad ogni cambiamento del loro assetto sentimentale.

Mi chiedo se si perderanno veramente nel banalissimo ed inattaccabile pensiero: “se non mi faccio coinvolgere, non soffrirò” oppure nel più classico  “Io di problemi non ne voglio” ?

Forse è la figura di un nuovo uomo quella che deve ancora nascere, lontana da quella immobilizzata da un ruolo troppo rigido, caratterizzato da sovrastrutture ed aspettative sociali oramai superate. O magari è la modernità: costantemente bombardati da stimoli esterni si sono perse la volontà e la capacità di stare nei sentimenti in maniera forse più strutturata, ma al tempo stesso per assurdo più spontanea. 

Avranno smarrito l’abilità di esprimerli questi sentimenti e di provare a viverli dentro ad un mondo dominato dalla comunicazione sì, ma assolutamente frammentata, sbrigativa e di scarsa qualità ed individualità?

Eppure il tempo è eterno solo nel fuori, nell’altrove. C’è una dimensione dell’amore, un qui ed ora così effimeri… E così abominevole ne è lo spreco.

“Non è sano che il tempo trascorra così. Non per noi. Non siamo amici, né lo saremo mai. Siamo stati amanti ancora prima di conoscerci. Ci siamo scambiati la carne forsennatamente. E ora è così strana questa cortesia che è scesa tra noi. La guardo e mi chiedo che c’entriamo io e lei con queste acque morte. Non può finire così, senza un grido, senza niente. Se un demonio deve caderci addosso, che ci bruci. Non possiamo finire in questa terra di mezzo.” (dal romanzo Non ti muovere, di Margaret Mazzantini)

Nelle terre di mezzo, non muoversi è come morire. Peggio del morire è il non vivere.

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