La condizione del poco

Federica Garzetti

C’è un’auto bianca, 

sta sotto casa.

Ammaccata e spoglia,

indossa un adesivo stinto.

Sembra quasi la tua.

Eh, lo so, non è.

Non è proprio.

La tua strada è diversa:

una curva prima, un’altra montagna.

Io e te, qui, adesso,

non possiamo essere.

Né potremo poi.

Ma mi piace alzarmi,

affacciarmi alla finestra,

e dall’alto trovarla lì, 

sempre lì,

in attesa vigile nella prima luce.

A volte sono mattine sporche,

mescolate a notti di pena.

Allora penso: “Potrebbe”. 

Sì che potrebbe.

Potrei sentire il campanello che suona.

Potrei aprire, e poi

potrei versare un caffè in più. Per te.

Fingerei sorpresa e “ma guarda!

Chi l’avrebbe mai detto?”

Ma in verità l’ho detto.

L’ho detto spesso.

Altre volte sono mattine di grazia serena.

Va tutto bene.

Tutto #liscio.

Comunque mi piace il suo stare ostinato.

Nella presenza, 

nella costanza,

io ritrovo quei tuoi gesti composti:

le mani sulle spalle,

una carezza sui capelli,

la lentezza.

La lentezza della tenerezza.

Vedo i tuoi occhi,

più veloci di ciò che sai dire.

C’è un’auto bianca sotto casa mia.

Ha la fede di chi sa considerare

un “per sempre”.

Forse “per sempre” è riconoscersi

anche dove non si è mai stati.

Anche prima.

Anche nonostante.

E (di questo poco) gioire.

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