TEENOSOPHY


Teenosophy era già una rubrica di Livingwomen, ora anche pagina Facebook in cui davo voce al pensiero dei bambini e degli adolescenti, così maltrattato, ridotto, inascoltato e sottovalutato. Così bersaglio di sguaiati stereotipi.
È diventata, in quarantena, una pagina libera, di resistenza, dove raccolgo la mia esperienza di madre e docente, ma sempre a partire dagli spunti, dagli sprazzi di luce e dal respiro

che il contatto coi miei ragazzi mi regala quotidianamente.
E di questo sarò sempre grata e mai abbastanza mi sdebiterò.
Io sono LaFede, madre lacunosa, insegnante rumorosa,
spirito guerrier.

19 Aprile 2020, AVADA KEDAVRA

La ripresa post Pasqua è stata pesante come la digestione post abuso di cioccolata.
Forse non so più fare il pagliaccio online, o forse, come ho sempre sostenuto, do il meglio di me live.
So’ teatrante, non diva di Hollywood.
Uno deve sapere quando è ora di fermarsi.
Da prima lo deve sapere.
Ho mollato l’Italia repubblicana e ho chiesto: che farete appena finisce tutto?
Badate bene al tempo verbale: un bel futuro semplice semplice, di certezza, di profumato ottimismo.
Sticazzi.
Non mi volevano rispondere.
La cappa non se ne andava.
Gente che conta e decide: fate qualcosa!
Perchè avete infilato infanzia e adolescenza dentro Azkaban coi Dissennatori a succhiare il midollo della vita!
E non gli avete dato, non dico il fine pena, ma un permesso premio!
Non mi volevano rispondere: non la volevano neanche nominare la libertà, perché qua è il deserto dei Tartari. Niente Tartari, niente guerra, solo desolata attesa.
In sincrono, sulla parete della cameretta di N.2 è comparso un “non andrà tutto bene, moriremo tutti”.
Mentre N.1 chiude ogni partita e ogni chiamata con “sì be’ poi la settimana prossima SAREBBE il mio compleanno, ma tanto…”
Eh no! Eh no ragazzi, “ma tanto” non si dice! La vita è importante, questo è un pit stop, uno stand by, è quando metti il gesso due ore prima di andare al mare. Quando ti viene il cagotto dieci minuti prima dell’appuntamento col destino… insomma è un colpo di sfiga!
Non possiamo infilare i ragazzi nel camino: lì ci vanno i vecchi.
Il ciccione rossobarbuto, la strega col foulard di Hermes… le cicogne a maturazione d’uovo.
Date ai bambini un punto nel buio, una siepe dietro cui nascondere l’infinito, per Jung e per Freud!
Volete una lista?
Vorrei vedere i nonni, perché sono un po’ depressi.
Vorrei stare coi miei amici e giuro che non li tocco.
Vorrei giocare a pallone e sudare tantissimo.
Vorrei nuotare fino a svenire.
Vorrei fare un giro in bici e sbucciarmi le ginocchia.
Vorrei fare shopping per il mio compleanno, spendo poco.
Vorrei camminare senza sapere dove arrivo.
Voglio andare al lago, ce ne sono tanti qui, ci stiamo!
Voglio fare bombing sui muri (questa la traduco: graffiti di giovanile protesta).
Voglio andar via un’ora piccola dai miei genitori.
Vedete? È roba semplice.
Scegliete voi.
Obbligateci a mascherarli, a sorvegliarli a distanza, ad avvelenarli col disinfettante.
Divideteci in pari e dispari, biondi, finto biondi, mori e tinte unicorne.
Programmate turni militari.
Ma i bambini non valgono meno di un orto o una fabbrica.
Non sono soltanto un bell’accessorio da prendere in braccio in fase di propaganda.
Un complemento d’arredo nei manifesti elettorali.
Non gli avete dedicato neanche trenta secondi dei vostri proclami.
Non state dando ai loro genitori le misure per occuparsene, se e quando torneranno al lavoro.
Nei vostri vuoti “grazie” alla gente che si è fatta il culo per tenere in piedi la baracca, non ve li siete ricordati.
Eppure erano lì, a bere spremute di lacrime e mangiare noia e distanza, nella più innaturale delle condizioni.
Ci hanno pensato la Scuola, la Famiglia, se e come potevano: non bene qualche volta, sia chiaro.
Politicanti e politichetti: dovete pensare ai bambini, alle bambine, ai ragazzi e alle ragazze.
Fate un cenno di mobilità cerebrale!
O vi si sfaccia il consiglio provinciale.
La curva del dissenso vi colpisca (possibilmente in fronte).
Avada Kedavra vi levi per sempre la bacchetta.

______________________________________________________________________________

11 Aprile 2020 BLUE FRIDA

Ieri N.2 mi orbitava intorno indecisa.
A un tratto mi trascina in camera sua, dove entro cercando di dribblare le mine anti Madre disseminate in tempo di quarantena, e mi ordina di sedermi sul letto.
Non so se siate pratici di ansia, ma mia figlia ha undici anni.
UNDICI.
Come si chiama la protagonista di Stranger Things? 11.
Quando sono cadute le Torri? L’11 settembre.
L’11 nella Smorfia?
I sorci, i topi maledetti, il mio antitotem.
Piccoli, infidi, sempre nascosti, rosicchia futuro.
Comunque… coincidenze?
Non credo proprio.
Nella mente ansiosa, un appuntamento a due con un figlio (peggio, con una figlia) preadolescente, in piena emergenza sanitaria e coi nervi così esposti che Stradivari potrebbe farne corde da violino, equivale a DEFCON 1.
Allarme bianco.
Attacco in corso.
Moriremo tutti.
Quindi lei mi guarda e fa:
“Senti, tu che non taci mai….”
(ehm… grazie, lo prenderò come eufemico attestato di stima)
“Mi dici qualcosa di cui potrei parlare con le mie amiche?”
Segue lacrima solitaria.
Poi pioggerella lieve.
Poi cascata a scroscio.
L’angoscia: l’angoscia in alta marea.
Madre, ho finito gli argomenti.
Madre, qui non si vive.
Madre, forse stiamo scomparendo.
Non so se esistiamo ancora.
Niente avventure, rivali da battere, prime occhiate maschili furtive, figure di merda di cui vergognarsi prima di ridere.
Niente corse nel cortile della scuola, scordandosi che si è troppo grandi per tana-libera-tutti. E niente libera tutti.
Niente saggi di musica o spettacoli di danza di cui rivelare segreti, lamentele, e benedettamente stanco orgoglio.
Ci chiamiamo, ma non sappiamo che dire…
Il vuoto.
L’eco.
Il nulla sociale.
Manca la vita.
Qui non si vive, alias aiutami Madre!
Eh N.2… non c’è mica una ricetta.
Che poi che ci farei, io, pessima cuoca?
Ma tu hai ereditato le mie sinapsi a mitraglia! Muovile un po’…
Leggeremo di nuovo la Grammatica Fantastica.
Bruceremo l’acqua insieme e tu potrai umiliarmi sulla pubblica chat.
Puoi organizzare una mostra interattiva di tutti i tuoi fumetti.
O potete scrivere insieme una tragedia e inscenarla a distanza.
Fa schifo.
Si può dire.
Si può piangere.
Si piange meglio in due e dura la metà. Lo sapevi?
Si può nominare perfino la tristezza.
Anzi, si deve veramente.
È un avanzamento di livello: Amicizia 10.0.
Frida Kahlo…
“Chi?”
Che Dio mi perdoni, Monociglio coi fiori, sai cosa scriveva?
Che il dolore sa nuotare.
È furbo. Ostinato.
Va guardato negli occhi, sfidato.
Qualche volta vince, qualche volta perde.
Oggi ha vinto.
“Mi sa anche domani…
Però, Madre…”
Spara.
“Anch’io so nuotare”
Vero.
“Ok.”
Ok.
Grazie Frida.

______________________________________________________________________________

5 Aprile 2020 NON BASTA MA SERVE


È facile fare la conta di quel che manca.
Stizzosa anche: chè da anni chiedo si scriva sulla mia tomba “Peccato, ero felice, cazzo!”, costringendo l’Imperatrice (mia Madre) a catene di rosari da Guinness dei primati cattolici.
Tutto mi ricorda il prima: la risma di carta abbandonata sul comò, che ho sempre scordato di portare a scuola.
Motivo per cui la spia della stampante mi fissava sardonica, con perfida luce: ecco, mi manca lo stesso.
Manca il caffè di Ciuffo Lilla, ingurgitato come clandestini tra la campanella dei 45 e quella dei 50, in palese violazione del Codice del Sorvegliante integerrimo.
La creatività che ci scivolava dalle tasche, salendo le scale al cardiopalma, chè i migliori piani pedagogici son nati col fiato corto e la voce gridata da un’aula all’altra.
E più di tutto mi manca la filosofia epicurea del cortile, l’esposizione al sole dei pensieri sulla panchina, i su coraggio di chi ti vuol bene davvero, minori o maggiori età che siano.
Tutto manca e non scorre, caro Eraclito de’ me cojoni.
Però… però c’è roba nuova.
Roba buona sulla piazza, piccole dosi di gioia, pillole di speriamo, scalini verso il finirà.
La gente che si parla dal balcone, come a Santa Maria di Leuca il 15 agosto.
Le chiamate di chi non sentivi da quando avevi i brufoli.
Uozzap colleghi con standard di comicità più elevati del David Letterman Late Show.
I sorrisi della cassiera, a prova di mascherina e dropmerda.
I nonni col bastone, il cane, il pattume, la spesa e il peso del mondo tra capo e virus.
Fiore, figlia di amici, che dipinge al sole su un poggiolo da signora Minù.
Coda di cavallo che si allena con lo skate tra cancello e garage.
I compleanni di ogni scoiattolo festeggiati su Meet, con candele improvvisate e lacrime originali.
N.1 e N.2 che depongono le armi e tornano a giocare insieme.
Ego e Narciso che blastano la videolezione per chiedermi conto di un libro sul terzo scaffale…
Tutti i “ma quando si torna a scuola?”, odi tragiche all’amor didattico.
Tutti i buoni e cattivi propositi che accumuliamo in ogni angolo delle nostre case, tornate caverne per l’occasione.
E no Martin, this was not my dream, ma faccio il mio esercizio preferito: guardo la vita per mangiarmi il meglio e cagare il resto.
Che non basta, ma serve.

______________________________________________________________________________

HELP/AIUTO

È una richiesta che si sente spesso a scuola. Ti investe, ti sovrasta.

Piccole difficoltà quotidiane: un brutto voto, un richiamo scritto, complicato da far firmare. 

Una giornata storta.

E poi ci sono vite storte: padri e madri che spariscono o che non ci sono anche quando ci sono. L’adolescenza non è una culla sicura, nessuna età lo è, a dire il vero: ma quando ti senti chiedere “Posso venire a vivere a casa sua, Prof?” sono poche le cose a cui ti puoi aggrappare. 

Ho un nome in mente. Un volto. 

Bellissimo, a dispetto di una storia terribile, ché la realtà può essere sadica in questo tipo di faccende.

“Gridano. Mio fratello sfonda le ante degli armadi. Mi ha rubato la bicicletta e l’ha rivenduta.” 

“Mia sorella piccola non studia e ieri alle tre di notte la mamma le faceva fare i compiti.” 

“Papà? Non sta bene, certe volte in macchina corre forte e non ci ascolta, mentre gli chiediamo di andare piano, più piano…” 

“La cena? Il frigo è sempre vuoto. C’è la pizza al taglio, Mc Donald o anche il latte con i biscotti.”

E poi le notti in bianco, le mattine trascinate tra le occhiaie e le macchie sulla felpa, sempre la stessa…

Help/aiuto.

Provi con la famiglia, provi con i servizi sociali, a volte ti ritrovi anche al comando di polizia.

Ma non basta. Mai. 

Restano uno, dieci, troppi numeri nel tuo telefono, che a volte ti ritrovi a cercare, per vedere se c’è un sorriso nella foto profilo, un buon segno, un cenno di luce. 

Tante cicatrici nell’anima e quella domanda che ti devasta lo stomaco: 

”Prof posso venire a casa sua?”.

No, però ci sarò. Mi chiamerai se avrai paura o se avrai voglia di chiacchierare o se ti servirà una mano a tenere la schiena dritta.

Ti rimane questo filo… sottile, sfibrato, ma che esiste e di cui devi avere cura.

Per inserire altri numeri, accarezzare altre ferite.

Aspettare che passi la notte. 

S, L, F, A, R, M… con disperata nostalgia

La parola Help mi fa pensare a quel cartone animato in cui degli animali, naufragati su un’isola, scrivono HELP sulla spiaggia, per essere salvati. Lo scrivono in inglese, che è una lingua internazionale: così chiunque potrà capire che hanno bisogno. Perché quando hai paura, non importa chi ti dà una mano. Importa che ti sentano.
– Emma, 12 anni

La parola Help è un concetto semplice, che a volte si usa per scherzare, se hai una verifica, un problemino da poco. Ma ci saranno persone che la usano perché hanno veramente bisogno: per esempio quando un barcone si ribalta in mezzo al mare e nessuno sente le grida di chi affonda disperato. 
– Emma, 12 anni

Le medicine aiutano i malati. L’affetto aiuta il cuore della gente. E stare insieme aiuta tutti.
– Michele, Giordano, Matteo, Jhonn, 12 anni

È facile dare aiuto a chi lo chiede: tutto il mondo gli va incontro. Sfortunatamente alcune persone (quelle più sicure o quelle che non vogliono dare nell’occhio) non sono capaci di chiederlo: e di solito sono quelli che ne hanno più bisogno.
– Alessia, 12 anni

Se penso alla parola aiuto, credo che non bisogna essere egoisti: prima di chiederlo, bisognerebbe imparare a darlo. È così che si cambia il mondo.
-Alessia, 12 anni

Aiuto vuol dire che se ti sei fatto male, se sei triste, se ti trovi nei guai, io ti sto vicino. E insieme risolviamo le cose. Punto. È facile!
– Martina, Erica, 12 anni

La parola Help torna su tutti i margini dei miei fogli: la scrivo spesso, ma in particolare durante le ore di grammatica e inglese. Che purtroppo non capisco quasi mai.
– Lisa, 12 anni

Ho pensato a quando aiuto mia sorella con i compiti: e si può dire che aiuto più me stessa perché poi capisco meglio anche io e divento più brava.
– Erica, 12 anni

______________________________________________________________________________

PAROLE LIBERATUTTI

La scuola non è solo sedie lanciate agli insegnanti, ricorsi contro le bocciature e minacce.

Ve lo volevo dire.

Non nego un certo clima di sfiducia, ma non possiamo ridurre tutto a genitori cattivi vs insegnanti buoni. Nè lamentare che si stava meglio quando si stava peggio, perché è una canzone vecchia di secoli. Ha stufato, è tossica e non porta a soluzioni.

Chiudendo questa parentesi, potrei dire che agli insegnanti fanno molto più male i drappelli di genitori cospiratori all’ingresso dell’istituto, e gli editti sui gruppi whatsapp, piuttosto che le tre aggressioni all’anno, pur deplorevoli, e nella più totale solidarietà con le vittime.

Per tornare al mondo degli adolescenti però, che è poi quello con cui ci confrontiamo quotidianamente e che ci propone davvero la sfida educativa, al di là dei proclami una tantum e dei servizi televisivi transitori e superficiali, io sono profondamente convinta di una cosa: nessuno chiede il loro parere.

Nessuno chiede che cosa ne pensano, cosa li fa arrabbiare oltre l’attitudine generazionale.

Nessuno gli lascia spazio e tempo.

Se c’è una cosa da cui credo nessuno potrà dissentire, è che questi ragazzi vivono bombardati di stimoli, ma senza alcun contenitore in cui elaborarli.

Lascio agli psicologi il compito di analizzare i danni di questo dato di fatto, anche se chi mi conosce sa da quanto combatto la mia battaglia per la restituzione agli alunni di un’ecologia del sapere. Ovvero, in soldoni, di un ritmo sano di apprendimento, del diritto alla noia, all’errore, alla creatività, e alla lentezza che serve per darle forma.

Mi permetto quindi il dovere di contrastarne gli effetti.

Di solito approfitto del momento dell’appello, e cerco di farmi raccontare piccoli brandelli di vita. Oppure commentiamo notizie di attualità che si agganciano alle nostre lezioni. Paolo,Francesca e il femminicidio. Le scoperte geografiche, il razzismo e l’immigrazione. Carlo Magno, la dislessia e le nostre radici culturali. Il genere grammaticale dei nomi e le differenze di genere… non potete immaginare dove può portare una lezione che speravi si esaurisse in spiegazione/esercizio/correzione!

Però io voglio un’altra cosa: voglio pensieri gratis, spontanei, liberi dal giudizio.

Perciò faccio questo: ogni due settimane do un tema. No, non il classico tema: titolo, svolgimento, voto. Gli affido una parola, e dico loro di farne ciò che vogliono. Ragionarci da soli, discuterne nel grande o piccolo gruppo, scrivere pensieri, poesie, racconti, riflessioni, insomma tutto quello che si scatena nel mondo della loro interiorità. Poi chiedo di consegnarmi il risultato curando la forma con particolare attenzione. Perché per me è un lavoro prezioso e deve esserlo anche per loro. In tutti i sensi.

È un esperimento, potrebbero tirarmi le banane o smontare l’aula per protesta.

Invece funziona: non vedono l’ora… e guai se non le leggo. E guai se non commento.

Sapete come si chiama questo? È amore.

Amore per la lingua, per il pensiero, per le proprie risorse.

Di più: è filosofia.

Anzi, è teenosophy!

Da questo mese quindi ho promesso di dar voce al teenpensiero, insomma di diffonderlo!

La parola stavolta è SILENZIO.

Dio sa se ne abbiamo bisogno.

Pronti?

Via!

“Il silenzio è come il Titanic: all’inizio parte bene ma dopo, piano piano, affonda”

Francesco

“Il silenzio ti serve per ritrovarti nel profondo e superare gli ostacoli che devi affrontare”

Cristian

“A volte quando dico ai miei genitori di un brutto voto si sente un silenzio così profondo da far paura”

Alice

“Silenzio è quando dormi.

Silenzio è quando sei in mezzo alla natura.

Ma è un vuoto a volte, e in amicizia va riempito.”

Giorgia

Il silenzio del cuore è uno dei tanti tipi di silenzio.

È uno strudel pieno di ingredienti: paura, fatica, felicità.

L’amore, per esempio, ti lascia senza parole o te ne dà moltissime.”

Diego

“Secondo me il silenzio è strano e io non so farlo.

Però il silenzio è anche quando baci…”

Luca

“Il silenzio può essere una stanza vuota.

Ma è perfetto per dormire.”

Leonardo

“In questo mondo c’è troppo rumore per parlare di silenzio”

Angelica

“C’è silenzio all’alba. Ce n’è poco al mattino. Per niente nel pomeriggio. Nella notte è profondo. E questo è il ciclo del silenzio.”

Andrea

“Il silenzio può essere per alcuni una tortura, per altri un piacere. Portale per l’immaginazione, che scompare con il rumore, ma anche fonte di paura e di ansia.

Lo spazio è il luogo più silenzioso dell’universo. L’unica volta in cui l’uomo fa davvero silenzio, invece, è quando muore.”

Manuel, Mattia, Giordano e Samuele

“In pochi sanno fare davvero silenzio: se lo fai in classe, puoi anche diventare invisibile.”

Alessia e Lisa

“A noi piace il silenzio quando:

  • ci sono verifiche
  • si fanno i compiti
  • si legge un libro
  • si dorme
  • le persone ci ascoltano davvero”

Margherita, Sofia, Erica

“Le stelle sono nate nel silenzio e se ne andranno con lui accanto.

Il silenzio ti fa pensare al futuro, a una piuma, alla neve: è lieve, soffice, leggero.

Anche la paura ti avvolge in silenzio e in silenzio arriva chi ti vuol stare davvero accanto”

Chiara, Martina

______________________________________________________________________________

MEMORIA LIBERATUTTI

Oggi ho fatto scuola con le carote.

Tristi carote crude di supermercato, che ho affettato davanti ai ragazzi. Poi ho chiesto chi ne volesse una fettina e loro sono venuti quasi tutti alla cattedra: una processione sghignazzante e curiosa. Ho distribuito ostie di carota, come una specie di sacerdotessa sacrilega e un po’ matta.

Che sapore ha una carota d’inverno? Sazia? Basta? Lascia un ricordo?

In un’intevista una studentessa chiede a Liliana Segre se c’è almeno un episodio che durante la prigionia ad Auschwitz le abbia dato conforto. Lei riflette e poi racconta.

E’ nell’ambulatorio del campo perché un’infezione le provoca un ascesso sotto l’ascella. L’infermiera tedesca prende le forbici, la guarda e le dice: “Non svenire se non vuoi fare una brutta fine”. Che significa: “Se svieni esci di qui dal camino”. L’infermiera taglia e lei non sviene: ma torna alla sua baracca con una cappa di tristezza e disperazione che le soffoca i pensieri.

Ha soltanto tredici anni.

Una prigioniera che non conosce prende un sacchetto lercio e ne estrae una fettina di carota.

E gliela regala.  

Liliana la ringrazia. “Era tanto tempo che non dicevo più grazie”, racconta.

In quanto tempo si può scordare la propria umanità?

In quanto tempo la si può recuperare?

Sapete come ci si accorge di aver centrato un bersaglio educativo, pedagogico e didattico?

Il silenzio. Il silenzio e molti occhi lucidi.

Poi però si parla.

Abbiamo parlato di nuovi lager in Libia. Di cosa oggi ha preso il posto di un forno crematorio. Abbiamo parlato di indifferenza e del mutismo becero di un intero continente.

Abbiamo parlato di come si può scegliere quale dei propri figli salvare e di Ailan, piccolo corpo sulla spiaggia. Di pagelle cucite nella giacca come passaporto per il proprio futuro. E poi coperte dalle onde. Di scuole aperte, di menti aperte. E porti chiusi. E visi voltati dall’altra parte.

Abbiamo parlato di Enrico Galiano e di una bacinella in cui i suoi ragazzi hanno visto sparire un Titanic di carta con i nomi delle persone che amano. E hanno pianto: i suoi come i miei.

Hanno soltanto tredici anni.

Così abbiamo costruito tante barchette di carta e stavolta le abbiamo messe al sicuro sui davanzali.

Andrea mi ha detto: “Io però non ho messo il mio nome, non ci stava”. Gli ho risposto che non importa. Che lui è la barca. E ci salverà.

Loro ci salveranno: in questo mondo che avremmo dovuto cambiare noi, i ragazzi ci salveranno.

Io credo in loro.

Nella scuola.

Nella memoria della carota.

Nella memoria delle barchette di carta.

Vorrei dire solo una cosa, anche se sono solo un ragazzino e magari non interessa a nessuno: io penso che non sia possibile che non ci sia un limite. Esistono dei limiti! Esiste la pietà!

I nazisti uccidevano chi non aveva certe caratteristiche fisiche o mentali e oggi sappiamo che è sbagliato. Cioè io spero che lo sappiamo!

-Andrea

Memoria è ciò che ti resta impresso e non cambia nel tempo e nei pensieri.

Memoria è Liliana: per lei un pezzetto di carota significa: “esisti, sei umana, non sei un oggetto, starai bene, sopravviverai e un giorno mangerai ancora”

-Francesco

Io penso a cieli grigi e magliette a righe. Penso che sono un ragazzo fortunato: che la storia e la geografia mi hanno risparmiato. Vorrei aver conosciuto Anja: Anja fuggita dal campo di concentramento e adottata dalla mia famiglia polacca. Perché il bene esiste.

-Florian

Memoria non è solo studiare a memoria. È anche non dimenticare ciò per cui la vita vale davvero. Ciò che rende felice la tua anima.

-Cristian

In certi casi la memoria vuol dire “Mai più”.

-Mattia

Le giuriamo che nella cabina elettorale ci ricorderemo della carota. Delle barche. Le giuriamo che quando potremo votare lo faremo con impegno.

-Alice e Martina

La memoria è un dono che ti possono rubare. Va difesa.

-Michael

Io faccio così: prima di agire mi chiedo “E se fossi io quella persona?”. Forse potrebbe essere il segreto della felicità… a me non sembra difficile, ma chissà perché per molti è impossibile.

-Diego

La memoria non ammette imprecisioni, perché è di tutti; il ricordo forse sì, ma perché è solo tuo.

-Manuel

Memoria è non commettere gli stessi errori.

Memoria è speranza.

Memoria è sapere esattamente come stanno le cose.

È  l’occasione per aggiustare il passato.

-Sophia