RADICI E NUVOLE

Febbraio è Radici. Mi piace, molto.

E’ prima di tutto una bella parola, ha un suono un po’ aspro ma buffo, quando una parola mi piace di solito mi piace anche il suo significato.

Radici di significati ne può avere tanti. Per esempio si può partire dal lato botanico, attraversare il lato antropologico analizzandone i vari significati per arrivare alle radici in cucina. E’ un tema perfetto, per me.

Il tempo stringe però, oggi devo concretizzare, scrivere, o almeno abbozzare il pezzo perchè questo mese non ho avuto ancora neanche un attimo per farlo. “

Penso tra me e me.

Sono le 8.05 di un venerdì mattina pieno di nuvole, come non se ne vedevano da mesi, mi sto asciugando i capelli nel bagno di casa mia, ho quasi finito.

Tra circa 5 minuti, come ogni mattina, mi accorgerò che sono in estremo ritardo e inizierò a correre per la casa per riuscire a fare tutto: truccarmi, vestirmi, accalappiare Mirta (la mia cagnolina che al mattino non vuole mai uscire), mettere le scarpe, cercare le chiavi di casa, uscire, rientrare per prendere il telefono che ho dimenticato, riuscire, scendere due piani di corsa, andare fino in fondo al vialetto, ripercorrere di corsa la strada in senso opposto, risalire le scale, svestire la Mirta da guinzaglio, cappotto, pettorina ecc, ricontrollare di avere chiavi e telefono, prendere la borsa; quindi uscire nuovamente di casa e correre per prendere l’autobus che mi porterà al lavoro.

Nessuna di queste cose va data per scontata e sopratutto deve essere fatto tutto in circa 14-15 minuti al massimo.

Questa mattina però, prima che mi rendessi conto del mio solito ritardo, improvvisamente si spegne la luce.

Buio.

Io ho paura del buio.

In una frazione di secondo penso:

  • A) qualcuno ha spento per sbaglio la luce del bagno, ma sono sola in casa;

  • B) sta avvenendo un fenomeno soprannaturale e ora si aprirà una porta su un’altra dimensione come in Stranger Things;

  • C) ho acceso come al solito lavatrice, lavastoviglie, phone e piastra, superato abbondantemente i 3 kW, quindi è saltato tutto;

Mi avvento sulla porta, la spalanco e niente mi accorgo che effettivamente è solo saltata la luce: nessun motivo apparente.

Termino di prepararmi nella penombra della casa ed esco.

Piove.

Fortunatamente avevo finito di aciugarmi, altrimenti come diavolo avrei fatto?”

Penso mentre aspetto l’autobus sotto l’ombrello.

E come facevano quando il phone non esisteva? Senza luce?

Boh.

Mentre sono al lavoro mi informano che il black out di casa mia è causato da un cavo tranciato, uno di quelli grossi sottoterra che alimentano tutto il palazzo, la compagnia energetica XY stà cercando di riallacciarlo, faranno il possibile, anche perchè senza elettricità non funziona nemmero la caldaia e non è possibile restare in pieno inverno tutto il fine settimana con i termosifoni spenti.

Sembra una cosa risolvivile in breve tempo quindi.

Mentre torno a casa per pranzo penso alle cose che devo fare: “il pranzo è già pronto in frigo, basta dare una scaldata nel micoonde … No ma il microonde non funziona se non c’è corrente elettrica in casa!

Vabbè troverò un modo per riscaldarlo oppure per un giorno mangerò il pranzo freddo.

Devo fare in fretta, non ho tempo da perdere, subito dopo pranzo voglio passare l’aspirapolvere prima di tornare al lavoro: ma anche l’aspirapolvere è fuori uso!

E come farò stasera ad usare il forno per cucinare il polpettone ai miei ospiti se non riattivano l’elettricità in tempo?”

Da qualche parte ho letto che un uomo è ricco in proporzione al numero di cose di cui può fare a meno e io in questo momento mi sento davvero povera.

Ma come è possibile essersi legati così tanto all’elettricità che è un’invenzione relativamente recente?”

Mentre l’autobus (elettrico pure quello) mi sta riportando a casa, appurato che non potrò fare nulla di quello che faccio di solito in pausa pranzo penso a come si viveva prima dell’arrivo di tutti quelli che noi chiamiamo comfort: mio padre a volte mi ha raccontato di quando lui era piccolo, e ancor più mia nonna, ma non ci ho mai pensato realmente.

Immaginando di vivere con i ritmi naturali scanditi dalla luce in inverno si ha tantissimo tempo “buio”. E se le case sono buie, le strade lo sono ancora di più.

Mi immagino in lunghe serate in poltrona con diversi strati di coperte addosso a leggere un libro (potrei anche iniziare a fumare la pipa) ma forse la realtà non era così rilassante come me la immagino io ora.

Prima di andare a dormire si deve scaldare il letto mettendo dei tizzoni ardenti in una specie di “padella” che va posizionata sotto le lenzuola per poi potercisi infilare. Il resto della stanza resta gelido. Ecco perchè mia nonna la sua vecchia padella scalda letto la conservava con gelosia, lo capisco ora.

Nonostante i tanti disagi immagino con un pò invidia le serate illuminate solo da una candela, la terra d’inverno riposa, l’uomo forse dovrebbe fare lo stesso.

Dedicarmi ad attività manuali, concentrata solo su quella, nessuna distrazione, niente telefono, social e foto del risultato finale: da quanto tempo non succede?

Ho spesso incontrato notizie di persone che hanno lasciato una vita “normale” per andare a vivere in luoghi remoti, boschi o campagne, le cerco sperando di trovare risposte alle mie domande ma le persone che hanno deciso di farlo, pur isolandosi dalla società, avevano a diposizione almeno un generatore di corrente, a volte addirittura una connessione internet per documentare tutto.

Certo non dispongono esattamente di tutti i comfort ma se puoi scegliere di quali dotarti non è la stessa cosa.

L’unico che io mi ricordi essere stato in una capanna senza nulla è Henry David Thoreau come lui stesso scrive nel suo libro “Walden. Ovvero vita nei boschi”.

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Lo rispolvero nella mia memoria.

“Andai nei boschi perché desideravo vivere con saggezza, per affrontare solo i fatti essenziali della vita (..) per non scoprire in punto di morte che non ero vissuto. (..) Volevo vivere profondamente e succhiare tutto il midollo della vita.”

Certo lui non dovette rinunciare all’aspirapolvere, l’asciugacapelli e il microonde perché era il 1845 e non c’era ancora nulla di tutto questo ma nel bosco e più precisamente in una capanna da lui stesso costruita sulle rive del lago Walden visse per due anni, dedicandosi alla scrittura e all’osservazione della natura. Pensandoci oggi è un tempo lunghissimo.

Il suo era un modo per protestare contro la società e il governo. La “disobbedienza civile” è alla base della sua idea ed anche il titolo di un suo saggio.

Le sue parole, nonostante siano state scritte a metà del 1800 sono ancora oggi attuali per certi versi:

Persino in questo paese relativamente libero, gli uomini, nella maggior parte (per pura ignoranza ed errore), sono così presi dalle false preoccupazioni e dai più superflui e grossolani lavori per la vita, che non possono cogliere i frutti più saporiti che questa offre loro: le fatiche eccessive cui si sottopongono hanno reso le loro dita troppo impacciate e tremanti. In effetti, un uomo che lavora duramente non ha abbastanza tempo per conservare giorno per giorno la propria vera integrità: non può permettersi di mantenere con gli altri uomini i più nobili rapporti, perché il suo lavoro sarebbe deprezzato sul mercato; ha tempo solo per essere una macchina”.

Non vorrei che nessuno adottasse il mio modo di vivere, desidero che al mondo ci siano tante persone diverse quanto più è possibile e vorrei che ciascuno fosse cosi accorto di trovare e seguire la propria strada non quella di altri. E’ solo avendo un punto fisso e matematico che si può essere saggi, come il marinaio. Forse non arriveremo in porto nel tempo stabilito ma avremo seguito il vero cammino”.

Non a caso sono molte le citazioni prese di suoi libri e sparse qua e la, le più famose nei film “L’ attimo Fuggente”(1989, di Peter Weir) e in “Into the Wild” (2007, di Sean Penn).

Non riesco a non chiedermi se sarebbe possibile oggi sperimentare un ritmo più naturale per l’uomo.

Sarebbe una rinuncia o una riscoperta? Dipende da che punto di vista guardiamo la cosa.

A casa mia la corrente elettrica è stata riallacciata in serata, prima che io rientassi dal lavoro e tutto poi si è svolto come al solito, ma è stata sicuramente l’occasione per pensare alle cose che mi hanno raccontato i miei genitori e i miei nonni, a come vivevano un tempo, questo episodio mi ha in qualche modo riportata alle mie radici.

Non è possibile fermare il progresso e sicuramente questo ha portato molte cose positive ma forse potrebbe essere utile, nei nostri ritmi di vita frenetici, dedicare un po’ di tempo al giorno al riposo del corpo e della mente, ad una tazza di the o a leggere un libro, a ritmi più lenti che ci permettano prima di tutto di ascoltarci. Questo lo chiamiamo spesso “non far niente” ma non credo sia così.

Si dice che gli alberi siano la connessione tra la terra e il cielo, e vista la loro longevità in alcuni casi secolare, sono sicuramente i testimoni del nostro passato, presente e futuro.

Anche l’uomo necessità di radici, di un tronco solido e di una parte più leggera in grado di trasformarsi per far fronte al cambiare delle situazioni e al passare del tempo.

Tutto deve avere radici per vivere, ma deve rimanere contemporaneamente in contatto con la realtà circostante.

Forse non è un caso ma cercando informazioni sull’invenzione dell’elettricità leggo che in origine c’è lo studio dei fulmini, che probabilmente sono le radici delle nuvole.

radici-nuvole

Anche la ricetta di questo mese mi ricorda la casa delle nonne, che lo cucinavano con amore per farne manicaretti. Mi ricorda le cotture lente con le padelle che sobbollono lentamente sul fuoco per tutta la sera o le sagre di paese (tra poco è Carnevale!).

Il ragù (o ragout) è decisamente una delle ricette piu tradizionali in Italia, eccolo quindi nella versione vegana.

RAGU’ DI LENTICCHIE

1 cipolla

1 carota

1 costa di sedano

Da sminuzzare e soffriggere lentamente nell’olio

250 gr di lenticchie secche

Da aggiungere al soffritto lasciando insaporire qualche minuto

1/2 bicchiere di vino rosso

Da versare e lasciare sfumare

500 gr di passata di pomodoro

e

500 ml di acqua bollente

Da aggiundere alle lenticchie, far riprendere bollore e poi lasciar andare piano piano sul fuoco piccolo, con coperchio.

Salare, pepare ed aggiungere aromi e spezie a piacere.

Mescolare di tanto in tanto fnchè non si sarà asciugato e le lenticchie non saranno cotte.

Il tempo di cottura varia dal tipo di lenticchie ma di solito ci vogliono circa 2 ore. Anche la dose di acqua da aggiungere varia molto in base alla tipogia di padella usata.

E’ facilissimo e buono. Si può usare per condire la pasta oppure per condire le lasagne.

Diviso in porzioni può essere congelato e usato a piacere.

Esistono anche varianti di ragù veg utilizzando al posto delle lentichie la soia, il tofu o il seitan.

A me questa sembra la ricetta più facile anche per la reperibilità delle lenticchie, in tutti i supermercati e perché di solito piace proprio a tutti.

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Il ragout (o ragù) di lenticchie di Giada

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