Mi sento come un gatto che scorrazza libero per la strada. Solo, in una città sconosciuta, tutto è nuovo, lo sguardo ed i piedi in perenne disaccordo, non sanno più in che direzione andare.
La lentezza e’ accorgermi che avrei dovuto prendere lo zaino invece del trolley, sarebbe stato più comodo, me lo dico sempre prima di partire ed immancabilmente quando è il momento lo dimentico. Gironzolo senza metà per le stradine pensando quanto può arricchire l’idea di non essere nessuno in un posto che non conosci ma soprattutto dove nessuno conosce te. Liberi da noi stessi possiamo essere chiunque o fare finta di essere qualcuno che ci piace tanto, liberi dall’idea che le persone intorno a te, vicine o anche soltanto prossime, si sono fatte di te.
Sono giorni di silenzio questi, fuori e dentro di me le parole sono molto poche. C’era bisogno di quiete, di interrompere tutto e rallentare al minimo. Sfiorare il vortice della lentezza. Lasciare spazio all’improvvisazione. Svegliarsi tardi, dormire tanto, non avere programmi o mete precise, debiti da onorare, salite ripide davanti a me, incertezze, paure.
Tutto sembra ancora più relativo, visto di qui, e meno male, dico fra me. La luce entra dalla finestra ed è una bella sensazione: sembra quasi un presagio. La lentezza mi rende improvvisamente conscia di quanto il significato delle parole nella mia testa sia cambiato molto. Parole come sacrificio, comprensione, misericordia e redenzione se guardo indietro, fino ad un indefinito lasso di tempo indietro, risuonavano in me generando avversione e mistero. Sembra incredibile che abbiano raggiunto improvvisamente nella mia testa una chiarezza cristallina.
Forse si può parlare di fiducia o forse è semplicemente la luce che passa attraverso la finestra. Penso al giardino di casa. Non è mai stato così bello. Ortensie, fiori, salvia e menta sono rigogliose e penso che è buffo ma a volte la vita è anche questo: dopo tanta fatica ti fermi ad osservare i risultati per lasciarli in mano a qualcun altro.