Non è un caso che abbiamo lasciato trascorrere qualche tempo dopo la pubblicazione dell’articolo sul quotidiano locale Adige relativo all’opera di Rudi Zanotti “I sistemi fallibili”, da Rudi trasportata e letteralmente depositata sotto la cupola del museo Mart di Rovereto. La motivazione è che il lavoro di Rudi, le sue opere ed il suo percorso partono da molto più lontano, e arrivano altrove. E quanto successo all’opera in questione, è soltanto un episodio all’interno di una storia ben più interessante che cercheremo di raccontare almeno in parte. Quello de “I sistemi fallibili” è stato un escamotage per liberarsi dell’opera “Visto che era da tempo che cercavo di contattare il museo per poter ricevere l’autorizzazione, ad un certo punto ho deciso di portarla lì ugualmente”. Se gli chiedi che fine abbia poi fatto la sua opera, ti risponde ridendo che lo scopo era liberarsene, e che non ne sa più nulla.
“Porto avanti le mie cose secondo i miei modelli, mi piace l’idea di arrivare all’atto creativo di fare l’opera d’arte. Di quell’opera avevo pensato di farne quella cosa lì già da due anni in qua. Alla fine, l’ho fatta.Io l’ho portata lì. Ora posso proseguire con il resto. Quel giorno è venuto un mio amico contadino e compaesano a trovarmi e mi ha detto “Ho visto il giornale, bel quel cor” (bello quel cuore). E io ero felice. Quello che conta per me è che io da quel momento lì in poi mi sono liberato, anche se attraverso tutta quella messinscena.”
Questa è la premessa, questo è Rudi Zanotti. Sono ormai quasi tre anni che desidero fortemente scrivere di lui, ma ogni volta mi sono bloccata. Perché il suo è un percorso in perpetua evoluzione, e lo scrivere di lui in un determinato spazio temporale mi dava l’impressione di bloccare un qualcosa che era già diretto verso un concetto differente. Sentivo di non avere una visione completa del suo lavoro e di non poterla trasmettere al lettore per questo. Perché Rudi, nel momento stesso in cui realizza una sua opera, è già dentro la fase successiva. Ci siamo incontrati spesso nel corso di questi anni, ed ogni volta ho avuto questa sensazione. Per questo ho deciso di parlare di lui senza fermo-immagine. Sarà un intervista in movimento questa, quindi. Come lo è Rudi. Un artista che fa suoi da sempre i capisaldi di Ricerca, Creatività e Spontaneità.
Nessun essere umano può essere definito dentro dei confini, e ancor meno lo può essere un uomo che per alimentare i suoi progetti vive continui cicli attraverso i quali rigenera se stesso e la propria arte. Rudi Zanotti è particolarmente indefinibile, e così lo sono le sue “creazioni” – in parte in creta e soprattutto in legno; forme sublimate in materia alle quali vengono attribuiti titoli e nomi: dei veri e propri concetti esistenziali. Corrispondenza, Organizzazione, Dogma, Risveglio Spirituale, Devozione, Utopie, Autocontrollo, Energia, Verità, Nascita… Esprime sentimenti Rudi Zanotti, stravaganze, parabole mentali che se hai la possibilità di parlarci insieme ti mostrano quanto sia evidente la connessione che va dai suoi pensieri direttamente dentro ai suoi progetti. Umile ma al tempo stesso consapevole di avere la forza di mettersi in gioco, di esporsi parecchio in una terra piccola e che dir si voglia piuttosto chiusa. Perché portano scompiglio le sue idee, il suo approccio inusuale di avere la necessità di disfarsi di ciò che produce con naturalezza e perché no, noncuranza. Spessissimo regalando le sue opere a chi gli sta intorno e vicino. Una mina vagante? Qualcuno l’ha definito “un bravo falegname, ma di certo non un artista”, ma dal nostro punto di vista, è sempre difficile imbrigliare la creatività di chi si esprime dentro una definizione a senso unico, e con una tale certezza assoluta. Certamente non sta a noi in questo spazio di dialogo e di confronto farlo. Possiamo (e vogliamo) semplicemente dare voce e spazio ad un uomo che attraverso la libera espressione della sua creatività desidera ancora lanciare dei messaggi. Comunicare.
Percepisco mediante “linee rette, curve” e colori primari all’interno del mio subconscio, portandole nella forma astratta dell’arte moderna.
Attraverso il tempo riesco a capire ogni mio atteggiamento in simbiosi con l’esterno.
Le opere raffigurano i miei istinti primordiali dando luogo allo sfogo rivoluzionario (una mia rappresentazione oggettiva e comunicativa della vita reale).
Rudi Zanotti trasforma spesso questo concetto in una sua visione, a volte spingendosi anche oltre, fino al ribaltamento del significato originario: un processo questo che non di rado è racchiuso nelle sue sculture, ma che rimane perlopiù invisibile agli occhi di coloro che osservano dall’esterno. Al contempo è sempre presente in Rudi un genuino tentativo di stabilire un legame con “l’altro” inteso come Umanità, e di riconoscersi come facente parte di questa, nel tentativo costante di stabilire un’armonia fra il suo dentro ed il fuori. E’ proprio in questa essenzialità quasi primitiva di concetti primari quali quelli di linea retta e linea curva che riesce ad esternare i suoi percorsi interiori, seppure in modo ermetico ed estremamente personale.
Il suo è un percorso che si è espresso attraversando diverse fasi utilizzando colori, forme, armonie, composizioni. Una realtà personale che trova espressione nell’astrattismo, in un vedere la materia come non-materia. Si parte così nel 2008 con la sperimentazione in chiave moderna dell’arte figurativa attraverso studi di design e di lavorazione del legno. Successivamente si realizza un secondo passaggio attraverso la realizzazione di varie figure e la reinterpretazione di varie forme geometriche: in un primo momento “integre”, ad un certo punto si cospargono di “buchi”. Arriviamo così al presente: questo è il momento della sfera, che rappresenta nel viaggio di Rudi un punto di arrivo: la Completezza. L’Amore. Lasciarvi con la sua stessa percezione di sé e del suo lavoro di artista, ci è sembrata la conclusione naturale di questa intervista.
“Io preferisco definirmi attraverso l’uso della parola designer. Non perché io creda di essere un designer del legno. Il mio lo chiamo design del legno perché è il suo nome. Io uso questo strumento, questa tecnica, per poter reinterpretare quello che è stato creato dall’uomo in campo metafisico e psicologico. Per darne la mia interpretazione personale. Ma è difficile interpretare qualcosa che già c’è, perché se il fuori è sempre oggettivo, interiormente siamo tutti differenti. Io cerco di realizzare il mio concetto di Verità e di Amore. E’ la risposta alla mia necessità di cambiamento. Di crescita interiore. Anche se il mio è un continuo chiedermi ‘ma starò facendo la cosa giusta? ‘ Approdando allo studio e all’interpretazione della sfera ho voluto dire a me stesso ‘basta arte contemporanea’. Perché finché non ti metti a lavorare a qualcosa di veramente tuo, in definitiva non farai che ripetere la stessa cosa, la stessa versione di te stesso, all’infinito.”
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