Donne contro gli impegni, le trappole e la soppressione del maschile

Riconciliare il femminile… presupporrebbe di aver già conciliato e conciliare (diciamocelo!) è una di quelle robe che a noi donne vengono benissimo, ma col femminile si tratta proprio di dover fare pace e questa è una cosa mooolto più difficile.

Con quante cose dovrei fare Pace! Anzitutto con questo mio corpo femminile, imperfetto da sempre, che mi perseguita con la ciclicità di una fertilità, che per la maggior parte della mia vita interessa solo a lui, appesantito dalle gravidanze o ancor di più dalle troppe incombenze che tutti ritengono di potermi caricare sulle spalle in quanto moglie, madre, figlia, sorella, lavoratrice, cittadina, politica… donna! Forse ci gonfiamo semplicemente per poter continuamente ammortizzare o rimbalzare le mille cose che ci piovono addosso!
E allora dovrei fare Pace con la me stessa che non sa dire no o direttamente con i no, ma non basta. Perché noi donne abbiamo un modo tutto femminile di prenderci degli impegni, pochi o tanti che siano. Forse siamo biologicamente programmate per l’impegno della maternità, ineludibile, totalizzante e infinito. Quindi qualunque impegno lo assumiamo nello stesso modo in qualsiasi campo della vita e lo portiamo avanti come panzer fino allo stremo delle forze, incapaci di mollare, di dire basta al momento giusto: prima di soccombere alla fatica e ritrovarci senza nemmeno più la forza per reagire e uscire dalle situazioni in cui ci siamo cacciate (o lasciate cacciare).

Oh, beh, da un lato mi sembra sempre più evidente che Dio debba essere (perlomeno anche) donna, perché con sagacia del tutto femminile, ha affidato la conservazione del genere umano alle donne (con tutta la stima che ho verso gli uomini, dubito che sopporterebbero un solo ciclo mestruale e non riesco proprio a immaginare come potrebbero cavarsela con il parto e l’allattamento!). Ma perché e quando la nostra capacità di resistenza, ci avrebbe messe in condizione di inferiorità? Tutto sommato dovrebbe essere un punto a nostro favore, un pregio, un talento.
Allora immagino che ci sia anche qualcosa di culturale in questo atteggiamento femminile, che in un qualche momento della nostra storia collettiva ed individuale siamo cadute in una trappola. Magari riuscite ad aiutarmi, non trovo il punto, ma sono certa che le cose che ci intrappolano, abbiano qualcosa a che vedere con la soddisfazione narcisistica del sentirsi indispensabili, la pretesa della perfezione, l’incapacità di dire di no, unita ad una gestione subdola del potere, ed in definitiva la ricerca costante di approvazione, sostegno, deresponsabilizzazione, che sono tratti terribilmente infantili, che ci rendono di fatto troppo spesso dipendenti dagli altri e soprattutto dagli uomini.

E’ la tendenza femminile al cortocircuito che non sopporto, quel sapere esattamente cosa dovremmo fare per noi stesse e non trovare mai il momento giusto per farlo, perché in realtà non ne abbiamo il coraggio, abbiamo paura di sbagliare, del giudizio, di non essere capite, sostenute, apprezzate… che palle!

Gli uomini se ne fregano, aggrediscono la vita, non implodono come noi, non si lasciano schiacciare dal quotidiano, sbottano, si incazzano, urlano, saranno anche al limite un po’ barbari nelle loro reazioni eccessive, impulsivi e superficiali nelle loro decisioni, ma reagiscono! Magari si incasinano di brutto, ma non macerano nell’insoddisfazione, nell’amarezza, nel risentimento, nell’autocommiserazione e nella lamentela.

A che cavolo ci serve sentirci così brave, se alla fine ci accorgiamo di vivere sempre la vita di qualcun’altra?

E allora torniamo all’inizio: io credo che non si tratti di riconciliarsi con il femminile.

Il femminile è un dato di fatto, è la nostra realtà e dobbiamo trovare il modo di vivercela bene.

Per vivercela bene dobbiamo fare Pace col nostro femminile, soprattutto con il nostro potenziale femminile inespresso o schiacciato fra troppi dover essere che non ci appartengono.
Questo non è riconciliarci con il nostro femminile, ma col nostro maschile!

Dobbiamo riconciliarci con quella parte di noi a cui non frega un beneamato di essere perfette, di avere un culo che fa provincia, farsi i baffetti, dire un mucchio di stronzate solo per ridere con gli amici, allevare un formicaio al solo fine di non dover passare l’aspirapolvere… che sa dire, ma anche gridare, si e no senza mettersi troppi problemi e ci gode anche un po’ ad imporsi e essere stronza se serve, a volto scoperto, senza preoccuparsi più che tanto, perché primo, si può sbagliare e non casca il mondo, secondo: CHISSENEFREGA!!!!!!!!!!

Ecco io credo che si tratti di riconciliare, perché in realtà, all’origine, prima che ci inculcassero di essere brave bambine (quando cercavamo di pisciare in piedi, per intenderci), eravamo conciliate e forse anche qui si tratta di un ritorno alla nostra vera natura femminile, può darsi che sia più semplice di quel che sembra! In fondo noi, a conciliare, siamo bravissime!

John Collier,Lilith (1892). Lilith è una figura presente nelle antiche religioni mesopotamiche e nella prima religione ebraica, che potrebbe averla appresa dai babilonesi assieme ad altri culti e miti (vedi Diluvio universale) durante la prigionia di Babilonia. Alla fine dell'Ottocento, in parallelo alla crescente emancipazione femminile nel mondo occidentale, la figura di Lilith diventa il simbolo del femminile che non si assoggetta al maschile e, rivalutata nelle religioni neopagane.
John Collier,Lilith (1892). Lilith è una figura presente nelle antiche religioni mesopotamiche e nella prima religione ebraica, che potrebbe averla appresa dai babilonesi assieme ad altri culti e miti (vedi Diluvio universale) durante la prigionia di Babilonia. Alla fine dell’Ottocento, in parallelo alla crescente emancipazione femminile nel mondo occidentale, la figura di Lilith diventa il simbolo del femminile che non si assoggetta al maschile e, rivalutata nelle religioni neopagane.

 

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