Racconto: Piacevolmente indolenzito

Pioveva da giorni ormai e non ne poteva più di tutta quell’acqua; l’umidità gli era 
entrata ormai nelle ossa e sentiva di non poter resistere ancora molto senza
dare senso fisico alle sue giornate; aveva voglia di risvegliarsi al mattino
piacevolmente indolenzito e l’unico motore che era in grado di portarlo a
quella sensazione palpabile era la ricerca di un nuovo mondo femminile da
 scoprire; una caramella da scartare con avidità ingorda per sentirne il ripieno
di frutta o di liquore. 
Era finito il tempo in cui si sentiva irrimediabilmente grasso e voleva
riprendere a camminare sul prato verde delle sue emozioni; voleva carne fresca
con cui risvegliare ogni piccolo poro della sua pelle, ma non poteva aspettare
 che tutto ciò accadesse senza ricercarlo; doveva rimettersi in gioco e
 riprendere dove l’aveva lasciata prima di incontrarla sul suo cammino. 
Non c’era più ed era inutile continuare ad aspettare che si materializzasse 
in qualche altro essere che si vedeva scorrere accanto; doveva solo essere se
 stesso e non aspettarsi nulla dal mondo fuori dalla sua vita; aprire gli occhi
e guardare; guardare e osservare; osservare e annotare; annotare e 
improvvisare; improvvisare e raccoglierne il risultato.
 Nessun passato da accettare e digerire, nessun futuro da programmare o subire; 
soltanto un fantastico presente dove ritrovarsi e divertirsi come non mai; 
senza un dove, un come, un quando e neanche un perché, ma solo ed
 esclusivamente un chi e cioè lui e soltanto lui.
Voleva lasciare che il suo corpo lo conducesse in strade non percorse senza
 nessun limite né remora; puro istinto al servizio del suo piacere e quando
 l’aveva vista aveva capito che solo lei avrebbe potuto riaccendere quel sacro
 fuoco che lo accompagnava dall’adolescenza più tardiva.
 Sapeva che lei era praticamente intoccabile e inavvicinabile perché
 contornata di un alone tra il misterioso e il magico, eppure c’era qualcosa in 
lei che lo attraeva come un orso fa con l’alveare pieno di miele; doveva fare 
sua quella femmina e non si sarebbe fermato fino al raggiungimento di quella 
sensazione dimenticata.
 Era un’estate particolarmente calda e alla televisione avevano appena 
annunciato la morte di Lady Diana in un sottopassaggio a Parigi, ma quello che
lo aveva colpito era stato l’improvviso inturgidirsi dei suoi capezzoli quando
lui era entrato nel bar del campeggio di Albenga e le aveva chiesto 
informazioni su quanto il telegiornale straordinario stava raccontando.
 Non credeva ai suoi occhi; un seno così rigoglioso e sodo faceva capolino
dalla camiciona di jeans che a stento riusciva a trattenerlo; sui fianchi un 
grembiule da cucina a segnare la rotondità del suo sedere solo un po’
abbondante ma dalle linee armoniose e subito sotto il proseguimento in gonna 
ampia a lasciare le gambe solide e tornite a farsi sorreggere da piedi 
abbronzati e affusolati liberi di muoversi nudi sul pavimento di terracotta del
salone davanti al bancone del bar. 
Non gliene fregava più nulla delle notizie e lei se ne era accorta subito
chiedendogli se poteva offrirgli qualcosa per segno di ospitalità; per lui era
stato fin troppo facile osare un “voglio te” e invece di vedersi arrivare un 
sonoro ceffone se l’era ritrovata accucciata a terra che gli abbracciava le
gambe quasi implorante. 
Aveva capito che quell’abbraccio non era figlio della brama improvvisa ma della 
voglia di scappare dalle costrizioni di essere figlia di una donnaccia di porto 
e del suo consorte camallo più ubriaco che uomo e promessa sposa del ras 
dell’ormeggio dei pescherecci.
 Dal basso con le lacrime agli occhi lei lo guardava implorante di regalarle
 un po’ di romanzo in quella vita da tabloid di cronaca rosa e glielo aveva 
espresso nell’unico modo in cui era capace di provare amore con qualcuno:
“posso farti un pompino?” gli aveva chiesto e lui era rimasto senza parole; non 
tanto per l’offerta di simile prestazione, ma per il significato che lei aveva 
voluto dare a quel gesto riempiendolo di rivalsa sociale e sessista.
 Non era più oggetto di pratiche orali imposte ma nel chiedere il permesso
 diveniva soggetto di un dono prezioso che qualsiasi uomo avrebbe voluto 
ricevere; non era più corpo da sfruttare per svuotare il desiderio altrui ma 
ampolla in cui raccogliere il seme del desiderio dell’uomo a cui regalava 
quella suprema attenzione ancor meglio di un coito strappato. 
E il piacevole indolenzimento non lo avrebbe più lasciato senza il suo 
ricordo…

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