Limpido è lo sguardo nel suo volto dei venticinque anni, che sorride da una cornice, limpido, innamorato, ignaro, ma già nel fondo intravede che iniziava ad allargarsi la macchia opaca del dubbio, che ci fosse ben poco da sorridere ad un futuro che non sorrideva affatto alla sua generazione.
Una generazione la sua, a cui sarebbe stato dato tutto, tranne il diritto di essere adulti: di mantenere se stessi e la propria famiglia onestamente e agli stessi livelli della generazione precedente, con la dignità di non dover dipendere dal patrimonio, l’attività, le conoscenze o la pensione dei genitori e di contribuire allo sviluppo di un meraviglioso paese irrimediabilmente impaludato.
Torbido lo sguardo della generazione successiva, cresciuta nell’individualità dei social, dietro a schermi in cui è normale essere egoisti e meschini come mai riusciresti guardando un essere umano in volto, scontrandoti col dolore reale che stai provocando.
Torbido, forse da sempre, lo sguardo dei 25enni di oggi, che conducono una guerra in solitudine, anziché un’esistenza in condivisione e paiono convinti che l’unico modo per sopravvivere in questa palude sia piantare la generazione precedente nel fango, come palafitte su cui costruire il loro mondo di bulli in cui vige di nuovo la legge del più forte, homo hominis lupus, completando l’opera dei nonni a danno della generazione rimasta schiacciata, inerme, incredula fra queste due.
Eppure il suo sguardo era ancora limpido e libero, nutrito da un’idealità indomita, mai sopita pur nelle difficoltà, pur nel non poter essere riconosciuta né dalla generazione precedente, né da quella successiva, ma da rari esseri che avevano condotto un cammino idealmente più nobile e materialmente più complicato, aggrappati con onestà alla poca dignità concessa.
Il suo sguardo era offuscato forse, dalla tristezza e la rabbia di dover vivere in un mondo così distante dalle sue aspettative ideali ed i suoi sogni, ma non intorbidito dalla cattiveria.
L’emozione per lei era stata incontrare altri sguardi limpidi in occhi scuri incorniciati di bianco in visi color ebano, ragazzi di 25 anni ben diversi dai nostri, che hanno imparato l’importanza dell’umanità, della condivisione e della dignità umana attraversando cammini disumani nel continente africano e abbandonati in preda al terrore alle acque del Mediterraneo.
La rivelazione era stata ascoltare ed accogliere le loro parole e storie atroci, riservare loro estremo rispetto, parole e attenzioni semplici, come quelle che sua nonna riservava a lei e vederle apprezzate come mai da quegli altri venticinquenni.
Quelli che disprezzano attenzioni, carezze, consigli, biscotti fatti in casa e sciarpe intrecciate di lana ed amore, che si vergognano dei genitori e pretendono l’ultimo modello di smartphone, quello che se non glielo compri tu, tanto lo chiedono ai nonni, perché tutti gli altri ce l’hanno e allora per non sentirti un pezzente agli occhi di tuo figlio fai enormi sacrifici o addirittura ti umili a chiedere soldi tu a quei nonni pur di conservare la faccia, ma non la dignità.
Così di fronte a quegli sguardi limpidi, si era ritrovata a sperare che almeno i suoi nipoti si potessero salvare, che avessero quegli occhi, quel cuore, quella capacità di apprezzare e rispettare l’umanità dell’altro e poi all’improvviso si era ricordata che i suoi figli non avevano ancora 25 anni, forse faceva ancora in tempo a salvaguardare il loro sguardo e la loro dignità, portando con maggior fierezza la sua.
