LE DONNE DELLA RESISTENZA

1945. Si festeggia per le strade un’Italia finalmente liberata. Ci sono anche le donne, con i loro fazzoletti rossi o verdi. Ballano e cantano anche loro. Ma le donne non sfilano insieme ai partigiani…

“C’è, nei confronti delle donne che hanno partecipato alla Resistenza, un misto di curiosità e di sospetto… E’ comprensibile … che una donna abbia offerto assistenza a un prigioniero, a un disperso, a uno sbandato, tanto più se costui è un fidanzato, un padre, un fratello… L’ammirazione e la comprensione diminuiscono, quando l’attività della donna sia stata più impegnativa e determinata da un a scelta individuale, non giustificata da affetti e solidarietà familiari. Per ogni passaggio trasgressivo, la solidarietà diminuisce, fino a giungere all’aperto sospetto e al dileggio.”

MIRIAM MAFAI. Pane nero, 1990

Miriam Mafai ricostruisce nel libro citato la vita quotidiana di questo vero e proprio esercito femminile fatto di madri, mogli, ragazze, operaie, contadine, mondine, borghesi, altolocate e intellettuali.

Recentemente studi storici hanno infine riconosciuto il dovuto risalto a quello che impropriamente è stato definito in passato come “contributo” femminile alla Resistenza Italiana (mi domando chi mai avrebbe osato parlare di “contributo” maschile alla Resistenza).

– Partigiane: 35.000
– Patriote: 20.000
– Gruppi di difesa: 70.000 iscritte
– Arrestate, torturate: 4.653
– Deportate: 2.750
– Commissarie di guerra: 512
– Medaglie d’oro: 16
– Medaglie d’argento: 17
– Fucilate o cadute in combattimento: 2.900 


dal documentario Le donne della resistenza di Liliana Cavani

Nel 1965 Liliana Cavani fece uscire il suo documentario “Le donne della resistenza”, dove per la prima volta qualcuno diede voce alle donne partigiane. Così racconta la regista diversi anni più tardi:

Intervistando varie partigiane ho scoperto con sorpresa che avevano combattuto (fisicamente) per un mondo dove la donna avesse avuto emancipazione. Erano contadine, operaie, intellettuali (ricordo Ada Gobetti) e ciascuna con le sue parole mi disse che aveva rischiato la vita per una “palingenesi” sociale (ricordo questa frase) che prevedeva il riconoscimento della parità della donna. Una sopravvissuta a Dachau e un’ altra ad Auschwitz mi dissero che durante la guerra erano persuase che il loro sacrificio avrebbe contribuito a dare uno scossone alla vecchia cultura. E in effetti le donne ottennero nel dopoguerra il diritto al voto (in Svezia lo ottennero 40 anni prima). Ma la vera rivoluzione culturale che le donne antifasciste speravano di ottenere non avvenne mai neanche col Sessantotto, anche se di certo aprì molte teste. Del resto la storia della donna Italiana salvo punte rarissime è tra le meno emancipate del mondo occidentale. Ma l’ Italia non è un Paese sperduto oltre le valli del Pamir. Siamo un Paese inserito in un Occidente che dalla rivoluzione francese in poi ha preteso dai suoi rappresentanti o regnanti comportamenti di probità in linea con quello che gli Stati si aspettano dai cittadini. Il rispetto massimo della dignità della donna è tra i requisiti. Nell’Occidente dove in media la cultura è laica il costume è politica. E cultura laica significa pari diritti uomo e donna.”

Al loro coraggio, alla loro forza, alla loro tempra morale dovremmo guardare oggi quando vediamo messe in discussione le libertà ed i diritti che queste partigiane ci hanno lasciato in eredità, combattendo.


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