GLI ALTRI, COSA DICONO?

Un film, Due giorni, una notte, di Jean-Pierre e Luc Dardenn, presentato nel 2014 alla 67^ edizione del Festival di Cannes, accolto in sala con 15 minuti di applausi, porta magistralmente alla luce quello che resta uno dei nodi centrali del nostro tempo: il lavoro.

Nonostante sia già passato qualche anno dall’uscita, il tema rimane assolutamente attuale: quanto poco spazio ci sia in un sistema sempre più competitivo per chi attraversa un momento di difficoltà, quanto poco margine di sbaglio ci sia, per tutti, nel contemporaneo “sistema”.

La storia è quella di Sandra (Marion Cotillard) e Manu (Fabrizio Rongione), una coppia di bassa estrazione sociale con due figli piccoli. Insieme stanno cercando di migliorare la propria condizione di vita. 

Sandra però cade nella depressione, diventa dipendente dai farmaci ed è costretta ad assentarsi per un lungo periodo dal lavoro. Una collega informa Sandra per telefono che il capo del personale ha proposto ai suoi colleghi di prendere una decisione che la riguarda attraverso una votazione: hanno dovuto scegliere tra la sua reintegrazione nel posto di lavoro oppure ricevere un bonus di mille euro ciascuno acconsentendo al suo licenziamento.

La maggioranza ha votato per ottenere il bonus, ma la scelta è stata in parte condizionata dai discorsi del capo, che ha parlato male di Sandra, perché considera la sua malattia come una colpa, e pensa che al suo ritorno lei non possa essere produttiva come prima. Nonostante la tensione, e la depressione che si rifà subito acuta (la porterà anche a un tentativo di suicidio), Sandra, sostenuta da Manu e da un’amica-collega, decide di proporre al capo una nuova votazione il lunedì mattina e si prende il fine settimana per incontrare i colleghi e cercare di convincerli a scegliere lei.

Sandra incontrerà tutti i colleghi favorevoli al suo licenziamento, tranne due: uno lo sente al telefono e l’altro non lo trova. Si offre così allo sguardo dello spettatore il campionario di umanità più rappresentativo del tessuto sociale colpito dalla crisi. Le motivazioni di chi sceglie il bonus, anche in presenza di Sandra, sono tanto all’insegna dell’egoismo quanto giustificabili rispetto al momento di congiuntura economica che riguarda ormai da anni la maggior parte di noi: c’è il collega che deve mantenere la figlia all’università; c’è la collega che si è separata e deve rimettere su casa con il nuovo compagno; c’è il collega più cinico che addirittura le riferisce, sadicamente, che il capo vuole farla fuori, che il lavoro che facevano in diciassette si può fare anche in sedici, anzi, ognuno potrà avvantaggiarsi di tre ore di straordinario. 

Nonostante la differenza fra le persone e le situazioni tutti però hanno una domanda: “Gli altri cosa dicono?”. 

Anche chi è orientato verso la scelta del denaro si pone il problema di una coscienza di classe, in un’epoca in cui il senso di appartenenza a un gruppo è minato dalle manipolazioni e dall’individualismo.

Viviamo in una realtà sempre più complessa, l’avanzare e lo stagnare della crisi ha reso ancora più difficile e competitivo il mercato del lavoro, il risultato di tutto questo spesso si trasforma in un contesto feroce, dove le mansioni da svolgere sono molteplici, il personale scarso e la paga appena adeguata a vivere.

Quando e se si riesce a trovare un lavoro. 

Quando e se si riesce a portare avanti un’azienda.

Persone a cui viene chiesto di rialzarsi non una, ma magari dieci volte, di investire in formazione anche quando non hanno risorse per farlo o prospettive poco chiare a pochi giorni dalla fine dell’anno il mio augurio va a loro.

Durante un’intervista Jean-Pierre Dardenn ha spiegato:

“l’idea per il film nasce da una notizia letta una decina di anni fa, che raccontava di una persona licenziata con il consenso dei colleghi da una squadra di lavoro della Peugeot, perché la sua debolezza e le sue assenze non permettevano al suo gruppo di vincere i premi di produzione che invece venivano ottenuti delle altre squadre. Abbiamo poi scoperto che non era un caso isolato, che situazioni analoghe stavano avvenendo con frequenza. Ma quello che ci ha toccato davvero è la mancanza di solidarietà che si evince da queste storie, ed è proprio questo che volevamo raccontare. (…) un personaggio come quello di Sandra era per noi la possibilità di fare un elogio della fragilità e della debolezza, qualcosa che la cultura e il cinema di oggi sembrano rifiutare.”


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