Frida detesta la pioggia: a meno che non sia quella potente di un temporale estivo.
Una volta l’estate era una pioggia rapida, una maglietta zuppa e le lucciole.
Poi è stata il mare, i viaggi in macchina e l’amore urgente.
Ora è un’isola.
E l’amore è un puntino a distanza: ma tutti sanno che l’amore non può essere così.
Qualche legge astrale le fa odiare l’autunno.
Perché l’autunno è un sabba di ombre che si presentano tutte insieme.
Fantasmi decisi a pretendere conti che a Frida non tornano mai.
L’autunno è la luce sequestrata dal buio e l’inizio delle notti senza sonno.
È anche il momento in cui devi ricordarti di morire per fare spazio.
Ma Frida non sa come si muore.
Né come fare spazio.
La nonna sapeva come si muore: un minuto dopo chi ami.
Così è stato, e Frida si è sentita poca: lei che si è sempre detta “un minuto prima”.
Ma chi ama resta fino al poi. E anche mentre.
L’inverno è una lista di desideri e mani tese.
Anche i fantasmi si mettono in fila a dicembre.
Imparano ad aspettare che Frida riordini le carte.
In inverno puoi accendere candele e meditare.
Se sei capace.
I profumi tagliano la strada al vento.
E la neve può arrivare.
Come un’occasione.
Come sua figlia.
O una crepa nel cuore.
Frida soffre di vertigini da sempre.
Anche se a nove mesi camminava.
Anche se da bambina era degli alberi e dei palazzi abbandonati.
Ma in alto le cose cambiano, e cambia la visione del mondo.
Soprattutto in primavera quando il freddo evapora dalla campagna e la vita si fa sfacciata.
Frida era sui rami, col sangue a pulsare nei polsi, la testa vuota e i sensi esplosi.
Il tempo è fermo in cima agli alberi, e rotondo.
La primavera è un altalena. O forse un gelato.
Come oggi con Rosa, al parco, dopo la sua lezione di danza.
Lasciando in macchina i rospi ingoiati.
Lasciando il terreno franare.
Le ombre alla polvere.
Perché fuori il sole pretende.
Ed è ora di cantare una canzone.