Nella lotta per ottenere il diritto al lavoro abbiamo perso un diritto altrettanto sacrosanto, quello di preservarci anche la possibilità di non lavorare: il diritto al NON lavoro. Ed è la stessa concezione di lavoro ad essere stata completamente stravolta nell’ultimo decennio – vittima della crisi economica, del declino politico e della globalizzazione quanto lo sono stati i cittadini.
Stiamo assistendo alla mercificazione del lavoro anche nelle società evolute ed apparentemente democratiche come quelle dell’Occidente. Nella nostra cultura, il lavoro per un certo periodo storico ha rappresentato anche la possibilità per ognuno di esprimere le proprie attitudini e le proprie inclinazioni, e potenzialmente in questo modo il singolo ha avuto modo di portare il proprio apporto alla società, contribuendo al suo sviluppo e contemporaneamente al miglioramento della qualità della propria vita e della propria famiglia, per chi sceglieva di averne una.
Nell’Italia del secondo dopoguerra per molti lavorare è stato mezzo, grazie alle proprie caratteristiche, doti, passioni e capacità individuali – evolutesi nel tempo nella professionalità e nell’eccellenza che ancora oggi vengono riconosciute al nostro Paese in diversi campi, dalla moda all’artigianato – attraverso cui realizzare i propri desideri e soddisfare le proprie ambizioni e necessità. Lavoro era anche sinonimo di Ascensore sociale.
Oggi per molti si è trasformato in mera necessità, per alcuni è divenuto mezzo lecito di guadagno illecito attraverso la sfruttamento dell’altro, e/o dei soldi altrui. Basti pensare a ciò che sta dietro al crack finanziario mondiale ed agli ultimi scandali di partito nostrani.
Per i giovani quello del lavoro è semplicemente un sistema che sfrutta e schiaccia, senza lasciare spazio né all’indipendenza economica per emanciparsi dal proprio nucleo famigliare d’origine (e chi prova a farlo si trasforma direttamente in povero senza passare dal via), né alcuna prospettiva di fronte al futuro. Se ad un giovane togli il futuro ed ogni possibilità di costruirselo, che cosa gli rimane?
Per tutti gli uomini che hanno subito e subiscono ogni giorno questa crisi, il lavoro è diventato disoccupazione, cassa integrazione, riduzione del personale (Alcoa,Vynil, Fiat per fare tre nomi vicini alle cronache degli ultimi anni). Impossibilitati a mantenere le proprie famiglie, messi con le spalle al muro, sbeffeggiati da una politica arrogante e irresponsabile. Se ad un uomo togli il presente ed ogni possibilità di ricostruirselo, che cosa gli rimane?
E le donne? Le donne si stanno misurando con una realtà che alla luce di tutto questo è divenuta anacronistica. Non solo non hanno avuto il tempo di vincere alcune importanti battaglie (equiparazione degli stipendi, superamento e regolamentazione della discriminazione sul posto di lavoro o nella ricerca di un posto di lavoro per il fatto di essere madri – nel caso si abbiano già dei figli – oppure per il fatto opposto di non essere ancora madri ed avere ancora dei pericolosi ovuli fertili nel caso di figli non se ne abbiano) ma sono già, come spesso accade, le prime vittime di un nuovo sistema.
Ed è così che no, non siamo liber* di non lavorare: o anche quando la nostra è una scelta, stiamo a casa pagando il prezzo della dipendenza economica, o ancora troppo frequentemente etichettate come “over-qualificate” ci vediamo costrette ad accettare impieghi al di sotto delle nostre reali capacità e del ruolo che ci competerebbe come ritorno per gli anni di studio e di sacrificio volti al raggiungimento di obiettivi che ci sono stati spacciati per decenni come raggiungibili. Comunque, ancora ed in troppi casi, percepite a prescindere creature troppo fertili per lavorare.
L’ha ribloggato su maccisun.
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