HELP/Aiuto.
È una richiesta che si sente spesso a scuola. Ti investe, ti sovrasta.
Piccole difficoltà quotidiane: un brutto voto, un richiamo scritto, complicato da far firmare.
Una giornata storta.
E poi ci sono vite storte: padri e madri che spariscono o che non ci sono anche quando ci sono. L’adolescenza non è una culla sicura, nessuna età lo è, a dire il vero: ma quando ti senti chiedere “Posso venire a vivere a casa sua, Prof?” sono poche le cose a cui ti puoi aggrappare.
Ho un nome in mente. Un volto.
Bellissimo, a dispetto di una storia terribile, ché la realtà può essere sadica in questo tipo di faccende.
“Gridano. Mio fratello sfonda le ante degli armadi. Mi ha rubato la bicicletta e l’ha rivenduta.”
“Mia sorella piccola non studia e ieri alle tre di notte la mamma le faceva fare i compiti.”
“Papà? Non sta bene, certe volte in macchina corre forte e non ci ascolta, mentre gli chiediamo di andare piano, più piano…”
“La cena? Il frigo è sempre vuoto. C’è la pizza al taglio, Mc Donald o anche il latte con i biscotti.”
E poi le notti in bianco, le mattine trascinate tra le occhiaie e le macchie sulla felpa, sempre la stessa…
Help/aiuto.
Provi con la famiglia, provi con i servizi sociali, a volte ti ritrovi anche al comando di polizia.
Ma non basta. Mai.
Restano uno, dieci, troppi numeri nel tuo telefono, che a volte ti sorprendi a cercare, per vedere se c’è un sorriso nella foto profilo, un buon segno, un cenno di luce.
Tante cicatrici nell’anima e quella domanda che ti devasta lo stomaco:
”Prof, posso venire a casa sua?”.
No, però ci sarò. Mi chiamerai se avrai paura o se avrai voglia di chiacchierare o se ti servirà una mano a tenere la schiena dritta.
Ti rimane questo filo… sottile, sfibrato, ma che esiste e di cui devi avere cura.
Per inserire altri numeri, accarezzare altre ferite, accompagnare la resistenza.
E aspettare che passi la notte.
a S, L, F, A, R, M… con disperata nostalgia

La parola Help mi fa pensare a quel cartone animato in cui degli animali, naufragati su un’isola, scrivono HELP sulla spiaggia, per essere salvati. Lo scrivono in inglese, che è una lingua internazionale: così chiunque potrà capire che hanno bisogno. Perché quando hai paura, non importa chi ti dà una mano. Importa che ti sentano.
– Emma, 12 anni
La parola Help è un concetto semplice, che a volte si usa per scherzare, se hai una verifica, un problemino da poco. Ma ci saranno persone che la usano perché hanno veramente bisogno: per esempio quando un barcone si ribalta in mezzo al mare e nessuno sente le grida di chi affonda disperato.
– Emma, 12 anni
Le medicine aiutano i malati. L’affetto aiuta il cuore della gente. E stare insieme aiuta tutti.
– Michele, Giordano, Matteo, Jhonn, 12 anni
È facile dare aiuto a chi lo chiede: tutto il mondo gli va incontro. Sfortunatamente alcune persone (quelle più sicure o quelle che non vogliono dare nell’occhio) non sono capaci di chiederlo: e di solito sono quelli che ne hanno più bisogno.
– Alessia, 12 anni
Se penso alla parola aiuto, credo che non bisogna essere egoisti: prima di chiederlo, bisognerebbe imparare a darlo. È così che si cambia il mondo.
-Alessia, 12 anni
Aiuto vuol dire che se ti sei fatto male, se sei triste, se ti trovi nei guai, io ti sto vicino. E insieme risolviamo le cose. Punto. È facile!
– Martina, Erica, 12 anni
La parola Help torna su tutti i margini dei miei fogli: la scrivo spesso, ma in particolare durante le ore di grammatica e inglese. Che purtroppo non capisco quasi mai.
– Lisa, 12 anni
Ho pensato a quando aiuto mia sorella con i compiti: e si può dire che aiuto più me stessa perché poi capisco meglio anche io e divento più brava.
– Erica, 12 anni





