QUESTIONE DI “GENDER”

Questa la nostra posizione su quanto accaduto in Trentino nelle ultime ore in merito alla decisione della nuova giunta provinciale di sospendere le attività dei ‘‘Percorsi sull’educazione alla relazione di genere” nelle scuole. Va da sé che il nostro appoggio va in particolare a sostegno del gruppo di insegnanti ed educatrici che sono state oggetto di un attacco mediatico (e politico) vergognoso, tristemente degno della sceneggiatura di un episodio della nota serie Netflix Black Mirror, con la pubblicazione di screenshot dai profili facebook personali di queste ultime su una testata (…) giornalistica (…) web locale. Ogni commento sulla bassezza di un gesto simile è superfluo, ci teniamo invece a dire qualcosa in merito alla scuola, a questa iniziativa che era considerata un’eccellenza nel nostro Paese in ambito educativo e sociale, ai suoi reali contenuti ed alle sue finalità. Con qualche dato autorevole a supporto delle nostre tesi, che male non fa, quando si vuole cercare di analizzare la realtà. Comunque pronte ad essere tacciate di stregoneria e messe alla gogna social…

Masha Mottes:

“È di questi giorni la scelta della nuova Giunta Provinciale di intervenire con la sospensione dell’attività dei percorsi di educazione alla relazione di genere per l’a.s. 2018/2019.Ora, di cose se ne potrebbero dire molte, si potrebbe fare polemica, farne una questione politica ma non è questo il senso della mia riflessione su questa iniziativa, pressoché unica e giustamente considerata un’eccellenza. Si tratta di uno strumento ideato da un Ministero non previsto da questo governo, quello delle Pari Opportunità. Del resto è stato avvistato per l’ultima volta nel governo Monti; nel governo Renzi era una delega della sottosegretaria Boschi, per lo più in tutt’altro affaccendata e al momento è una delega del sottosegretario Vincenzo Spadafora. Le scuole potevano fare richiesta di interventi, curati da professionisti con percorsi ad Hoc, qui il bando: http://www.pariopportunita.provincia.tn.it/filesroot/Documents/all.A.pdf 

Quando andavo a scuola io si iniziava appena a parlare di educazione civica, di educazione sessuale, di bullismo. Della scuola di oggi non so molto, ma so molto della società in cui viviamo. Ho conosciuto e conosco gli stereotipi di genere anche attraverso il mio lavoro di agente di polizia municipale, conosco i dati della violenza sulle donne in Italia, conosco le difficoltà di conciliare lavoro e famiglia oppure anche solamente di trovare un impiego per le donne. Credo che, considerata la realtà, ci sia ancora molto lavoro da fare. Forse una volta la società reale non era così complessa, o forse semplicemente non ne avevamo percezione. I messaggi pericolosi o sessisti esistevano e venivano tollerati maggiormente. Si era a cavallo fra una struttura rigida della famiglia e i primi casi di separazione o di divorzio; non si parlava apertamente di sesso ma tutti avevamo il terrore dell’HIV (e questo era un bene perché le malattie sessualmente trasmissibili ora sono in aumento per il crollo dell’uso del preservativo). Non si parlava apertamente di stereotipi di genere e la narrazione delle discipline era prettamente al maschile. I tempi cambiano che lo si voglia o no, ma c’è una cosa che non cambierà mai:  il rinnovamento che ogni generazione può apportare al tessuto sociale. Per questo ritengo che, considerata la complessità del momento storico, dovrebbe essere un diritto per i ragazzi avere consapevolezza e strumenti per affrontare positivamente il mondo contemporaneo e la realtà in cui crescono. Semplificando le cose, all’interno dell’educazione alla relazione di genere, che va modulata a seconda dell’età, i ragazzi possono affrontare temi quali stereotipi di genere, parità, rispetto per le differenze, tolleranza, conoscenza della violenza (anche verbale), cultura del rispetto e cercare di capire come impedire la discriminazione.”


Federica Garzetti, insegnante:

“La scuola educa alla democrazia e alla cittadinanza consapevole. Soprattutto in un paese come il nostro, dove misoginia, divario salariale e sociale e femminicidio sono triste realtà quotidiana. Pensare che i corsi contro la discriminazione siano attentati all’identità di genere, che siano di destra, di sinistra (oppure obliqui), è sintomo di un’ignoranza così profonda da far auspicare un’ora al giorno di educazione civica. Un’ora all’ora! E poi bisogna smettere di additare la scuola come una specie di ipnotica entità indottrinatrice! Gli insegnanti non hanno il potere di incidere sulle menti dei bambini e dei ragazzi (per fortuna)… possono nella migliore delle ipotesi mostrare nuovi punti di vista. Prospettive. Spunti di riflessione. Invece VOI. VOI famiglie. Voi sì che avete potere di indottrinare. E per citare fonti autorevoli “un grande potere presuppone grandi responsabilità”: usatela, e, se non credete nell’istruzione pubblica, fate homeschooling. L’istruzione è un patto fiduciario, non una coperta da tirare per lembi amministrativi. Inoltre le questioni trattate sono fondamenti della nostra Costituzione e parte integrante delle linee guida ministeriali, dove le competenze civiche sono trasversali a tutte le materie. Poi ci sono i contenuti specifici legati alla storia e affidati al docente specializzato (perché vi do una notizia: l’educazione civica non esiste solo dall’ultimo decreto…) Non c’è (spero) famiglia contraria alla Costituzione, di solito portano via i bambini in tal caso. Lo dico per chiarezza. Ma vorrei rassicurare: la scuola non genera lesbiche, trans. Neanche maschi o femmine. La scuola spiega come capire e interpretare la realtà. E questo, questo sì fa davvero paura.”

E’ BELLO AVERE UNA RAGAZZA PER CASA

Marika Mottes:

“Ho partecipato il 29 Gennaio dello scorso anno alla conferenza Come on girls, let’s work! presso il Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale di Trento organizzata da Università degli Studi di TrentoUniversità Ca’ Foscari di Venezia e Università Paris 1 Panthéon-Sorbonne in Memoria di Valeria Solesin, la giovane ricercatrice italiana uccisa a Parigi il 13 novembre 2015, durante la strage del Bataclan.  Nata e cresciuta a Venezia, aveva poi conseguito a Trento la laurea triennale presso la Facoltà di Sociologia e stava concludendo la sua tesi di dottorato presso l’Università Paris 1 Panthéon-Sorbonne sui comportamenti riproduttivi in Italia e in Francia. Tra i suoi principali interessi di ricerca figuravano le disuguaglianze di genere nel mercato del lavoro, i comportamenti e le decisioni familiari e di fecondità, le politiche di welfare.

La conferenza ha rappresentato un’importante opportunità per discutere e presentare studi sui recenti sviluppi nell’ambito della demografia, dell’economia e della sociologia nel nostro Paese, incentrati in particolare sulle tematiche:

  • le disuguaglianze di genere
  • il ruolo delle donne nel mercato del lavoro e nella società
  • le politiche di welfare dirette all’occupazione femminile e alle scelte riproduttive
  • il matrimonio, la famiglia, la sessualità

In questi ultimi 10 anni di crisi in Italia le disuguaglianze sociali, generazionali e territoriali sono aumentate. Il gap di genere sembra essere diminuito nei numeri, ma perché? La crisi è stata trasversale ma selettiva, ed ha portato ad una ricomposizione della mappa dei rischi di esposizione a povertà nei differenti segmenti della popolazione (triplicata per giovani e bambini, diminuita per gli anziani). Avete/abbiamo sentito qualcuno che si stia dando una strategia politica diversa per far fronte a questi cambiamenti demografici e sociali per sopperire a questo ruolo delle donne come priorità? Una strategia alternativa qui nessuno se l’è data. E questo si è già tradotto anche nel calo della fecondità.

I problemi da affrontare oggi in Italia sono due:

1. LA NECESSITA’ DELLO SVILUPPO DELL’OCCUPAZIONE FEMMINILE, E QUESTO DIVENTA UN ELEMENTO FONDAMENTALE PER LA CRESCITA DELLA FECONDITA’

2. LO SVILUPPO DELL’AUTONOMIA DEI GIOVANI: NON SOLO OCCUPAZIONE FEMMINILE MA ANCHE OCCUPAZIONE GIOVANILE

A questo punto, a fronte di una situazione che non e’ solo effetto crisi ma combinazione tra un effetto della crisi ed una situazione strutturale che si è andata consolidando negli anni – anche da un punto di visto demografico – o questi fatti vengono assunti come una priorità vera del paese e non soltanto a parole o il rischio è un declino non solo demografico, ma anche economico e sociale dell’intero paese.

Emerge così dall’intervento della dottoressa Linda Laura Sabbadini e dagli interventi successivi della conferenza, una questione culturale che appartiene al nostro paese e che non si può più negare. E che è anche alla base del dibattito sulla parità di genere nel nostro paese da un punto di vista personale, familiare, sociale, economico e lavorativo. Un paese in cui le disuguaglianze continuano a ridursi ad un livello lentissimo ed inadeguato. Anche rispetto alle reali necessità del paese stesso. Un paese dove la child-penalty per una donna che rientra sul posto di lavoro dopo una gravidanza equivale ad un ribasso del 35% del proprio reddito potenziale nel medio periodo dopo il congedo obbligatorio parentale che va ad aggravare ulteriormente un già presente divario salariale fra uomini e donne.

La seconda parte della conferenza ha visto l’intervento di Maria Letizia Tanturri dell’Università di Padova: Low fertility and care in Italy: the gender story – Bassa fertilità e cura in Italia: storia di genereQuesto è andato ad osservare da vicino il legame tra genere e bassa fertilità in Italia rispetto al resto dell’Europa, ed il possibile ruolo chiave dell’assunzione di politiche di supporto alla fertilità.

I dati ci dicono che laddove la parità di genere aumenta, aumenta anche il tasso totale di fertilità. Detto questo, in Italia questo è passato dal 2,70 del 1966 al 1,34 del 2016. IL 2016 ha inoltre visto alzarsi l’età media della prima nascita di un figlio all’età di 32 anni con un aumento di 2 anni negli ultimi 10. L’assenza di figli è inoltre aumentata drammaticamente nella fascia di età femminile 30-34 anni.

La famiglia italiana è solida ma ipertrofica, nel senso che non prevede apprezzabili modificazioni di struttura laddove invece la sua struttura è particolarmente esigente in termini di tempo richiesto. In Svezia su un totale di 100 il carico delle ore settimanali per la cura ed il lavoro domestico famigliare è in carico alle donne per il 60% – in Italia lo è ancora all’80%.

Concludendo, le politiche di genere non dovrebbero (e non devono) essere un’opzione ma una necessità. Queste inoltre dovrebbero dimostrarsi per essere efficaci nella complessità dell’analisi attuale rispettivamente: chiaramente targhettizzate, consistenti, ingegnose.

La possibilità del verificarsi di un cambiamento prevederebbe anche la necessità di iniziare a spostare un poco alla volta il focus sull’uomo anziché sulla donna: perché questo tipo di cultura/mentalità così arcaica è così dura a morire in Italia?

Ecco perché quindi, dati autorevoli alla mano, senza correre il rischio di essere imputata di ideologismi o stregoneria, ribadisco l’importanza dell’educazione alla relazione di genere nelle scuole. E l’ignoranza di chi vi si oppone.”

RICERCATA PER OMICIDIO
LE SUE CHIACCHIERE SENZA RITEGNO
COSTANO DELLE VITE

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