Written By Ariadne, London Correspondent
il Notiziario, il telegiornale – un reality show che deve andare in onda ogni giorno, altrimenti il mondiale, l’internazionale e lo scandaloso vengono meno, ma che, nonostante questa esigenza quotidiana, questa forma di esistenza, può durare solo una mezz’ora in cui non c’è tempo per dare seguito – c’è solo suspance, perdita di vista, inconsequenzialità, e complotti, sangue, tanto sangue: il notiziario è il mio genere televisivo preferito.
È un horror sofisticato, la giornalista sorride alla fine, come nulla fosse stato (vero). E poi si parla del tempo per qualche minuto. A tratti un Noir, che presenta alcune cause, ma non tutti gli effetti, oppure nessun effetto. O presenta gli effetti senza riuscire a ottenere consenso, scientifico o politico, circa le cause. E poi perde il filo narrativo, dimentica, abbandona semplicemente le storie. E’ un non-sequitur.
Da qualche settimana si parla di etichette. Etichette sbagliate, perché dovrebbero dire carne di cavallo – oppure, contenuto sbagliato: doveva essere vitello.
Chi controlla il controllore, chi controlla i cavalli e chi controlla la comunicazione: c’è stata una copertura di una copertura di uno scandalo di una copertura. Un film, un Noir, un mistero. E una contraddizione in termini, infine: una menzogna, una frode.
Il linguaggio che usiamo per pensare al cibo è all’origine di questo scandalo: il fatto che semplicemente esista il concetto di Spaghetti precotti con ragù venduti in barattolo di latta a un Pound, e che si conservano fino al 2015, ad esempio. Cibi pronti, pronti per che cosa, per quale fame reale? Ma noi vogliamo dei pasti veloci, e veloci verso dove?
Cibi industriali, etichettati, plastificati, e in particolare: i cibi pronti. Non entro nel merito del mangiare animali, ma nel merito del cibo “already-made”, pronto, surgelato o take-away; del mangiare mentre si corre e si “multitaska”, del mangiare senza dover/saper cucinare; e dell’avere al contempo delle pretese, verso prodotti sotto costo, e verso etichette, qualità e informazione. Siamo ora evidentemente vulnerabili al cavallo di Troia, all’apparenza, al packaging, che lo abbiamo fatto entrare dentro il linguaggio, dentro al nostro modo di pensare e di mangiare.
Ma anche le etichette oneste sono raccapriccianti: non c’è modo di garantire che in un prodotto non ci siano tracce di qualcosa che non centra niente? Nessuno si prende la responsabilità di garantire che non ci siano altre tracce, “Può contenere semi, noci, latte, soia”. Cavalli?
Ora i cavalli ci accompagneranno ovunque, al momento indimenticabili, entreranno a fare parte della mitologia, insieme all’aviaria e alle mucche pazze. E solo perché costano meno dei vitelli. Ma tra qualche settimana non ne parleremo più, diranno “c’è stato uno scandalo ma ora non c’è più”, ora è immaginario collettivo.
Il telegiornale crea immaginario echeggiando l’ultimo grido. A noi orchestrarlo, a noi avere memoria. A noi fare sequitur.

-Il Buongiorno di Raphael Didoni
Related articles
- Horse meat scandal makes bureaucrats look like donkeys (myfiveromances.wordpress.com)