Selvaggi*

L’ insonnia mi fa compagnia ormai da più di qualche giorno.

Sarà la stagione che sta transitando, il fiorire di alberi e piante, sarà ritrovarsi di fronte all’ennesima mutazione.

Sono tanti i ragionamenti che ho fatto su questo tema.

Numerosi i collegamenti che si sono accesi nella mia mente.

Era il 1755 quando Jan Jaques Rousseau, pubblicava il “Discorso sull’origine e i fondamenti della disuguaglianza fra gli uomini”, stimolato dal quesito posto in un concorso bandito dall’Accademia di Digione: “qual’e’ l’origine dell’ineguaglianza tra gli uomini e se essa sia autorizzata dalla legge naturale”.

Ho pensato molto a questo libro e proprio la parola chiave di questo tema è l’essere selvaggio in questa visione: più semplice nei modi, sostanzialmente non corrotto ne’ viziato dalla civiltà moderna, dal progresso e dalle regole sociali.

Esiste una natura dell’uomo più autentica?

Risiede nell’energia di cui noi esseri umani siamo dotati fin da principio e che rapidamente e progressivamente perdiamo crescendo?

Lo stato di natura sarebbe più genuino e contraddistinto da un rapporto più spontaneo e più vitale con le cose e con la realtà.

Improvvisamente ci ritroviamo incapaci di vivere, confinati a vivere artificiosamente e a dover imparare quello che un tempo conoscevamo per natura, ci ritroviamo quindi a rincorrere, a tentare di recuperare un rapporto più autentico con le cose.

Moderni decaduti e corrotti fatti a brandelli dall’incivilimento.

Rousseau sostiene che la disuguaglianza non abbia origine nello stato di natura ma che sia generata contemporaneamente alla formazione della società, spontaneamente buono e in armonia rispetto a se stesso e all’ambiente circostante l’individuo viene corrotto dallo stato civile in cui si viene a trovare; un ambiente dominato dalla competizione, dalla falsità, dall’oppressione e dai bisogni superflui a cui l’uomo si adatterà acquisendo questi fattori sociali.

In questo momento o semplicemente in questa mia epoca questa tesi mi sembra così vera ed attuale.

Ovviamente non è previsto un lieto fine ma quanto meno viene lasciato uno spiraglio al libero arbitrio, ovvero, posto che non è più possibile tornare ad uno stato di natura (cosa che non saremmo nemmeno più in grado di sostenere in termini di adattabilità) e’ possibile costruire uno stato civile che impedisca i danni morali e materiali in cui l’uomo si dibatte.

A questo punto nuovamente in balia delle mie parabole mentali provo ostinatamente a dare un senso, un significato a questa “selvaggitudine”.

Richiamare la nostra natura più selvaggia porta in qualche modo all’istinto e avvicina alla verità.

Non c’è una lente che ci permetta di leggere con lucidità il tempo in cui si sta vivendo, pare sia riconosciuto come un momento di grande cambiamento, dove nuove realtà e nuovi modi di far funzionare le cose cercano di farsi largo.

Posso solo umilmente condividere qualche consiglio che ho dato a me stessa: entrate nell’economia della condivisione, riflettete con tutta la coerenza di cui disponete sulla scala dei vostri valori, allontanatevi prendendo posizione dall’aggressività fisica ma soprattutto da quella verbale che in maniera subdola si sta diffondendo nel quotidiano.

Fate un salto indietro rispetto alle abitudini moderne, ritornare a cucinare (ammesso che non lo facciate già) almeno di tanto in tanto, provate a coltivare qualcosa o semplicemente a prendervi cura di una pianta.

Ricordate di essere uomini o donne dotati di mani potenzialmente in grado di costruire, nell’epoca della tecnologia imperante ho paura sia diventato un concetto non banale.

Siate primitivi: riesumate la vostra parte selvaggia.

“Non dimenticate che la terra si diletta a sentire i vostri piedi nudi e i venti desiderano intensamente giocare con i vostri capelli.” ~Kahil Gibran

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